Maggianico - CENNI STORICI

MAGGIANICO, SOMASCA E SAN GIROLAMO

Somasca, frazione del comune di Vercurago, ha molti legami con Maggianico. Da Maggianico da secoli si va a "San Girolem" (nessuno chiama la località "Somasca", al limite "San Girolamo" o "San Gerolamo") per motivi religiosi o semplicemente per una bella passeggiata. Ci si può andare dal sentiero a monte sulle pendici del Magnodeno o dalla statale Lecco-Bergamo.
In questa pagina ho riportato un dattiloscritto del 1994 con appunti sui legami tra Maggianico e San Girolano Miani (o Emiliani).
Nella parte successiva c'è la digitalizzazione completa (testi e foto) de "Il santuario di S. Girolamo Emiliani in Somasca", stampato nel gennaio 1930 dalla rivista "I santuari d'Italia illustrati" . (N.B.)

Somasca, santuario di San Girolamo

santuario di San Girolamo, Somasca

San Girolamo Emiliani

Somasca, santuario di S.Girolamo

cartolina di Somasca - 1947


MAGGIANICO e San GIROLAMO MIANI

Nella vita di S. Girolamo Miani si legge un fatto miracoloso avvenuto in Maggianico, che a quei tempi era chiamato "Mazano".
Dal volume, frutto di laboriose e pazienti ricerche di padre Lorenzo Netto, edito nel 1954 dall'Istituto Propaganda Libraria di Milano, stralciamo il seguente passo:
"In caso di necessità Girolamo va ad elemosinare per tutti, ed in situazioni di emergenza ottiene il miracolo dell'onnipotenza divina, moltiplicando i pani e facendo scaturire acqua dalla roccia.
A questo periodo si riferisce anche la restituzione alla vita di un bimbo morto, avvenuta per sua intercessione in località Mazano, non molto lontano da Somasca".
Lo stesso fatto, ricavato dalle testimonianze ai processi canonici, é narrato nel volume "Itinerari lecchesi - PER LE VIE DI SAN GIROLAMO" edizione della banca Popolare di Lecco 1986 a cura di Dino Brivio.
Si racconta delle processioni che San Girolamo con i suoi orfanelli faceva nel territorio a cercar elemosina "per poter poi sostentare detti figliuoli et anco la persona sua con altri padri che habitavano seco".
Di un'altra processione, a Maggianico, con il miracolo della risurrezione d'un giovane, parla Bernardino Aquila, converso dei Somaschi:
"Battista Romano converso mi disse anco in quel tempo che detto padre Gieronimo Miani con l'oratione resuscitò un giovinetto morto, ch'era figlio d'una donna vedova, in una terra chiamata Mazano, discosto da Sommasca circa due miglia. Et mi diceva ancora che questo fatto non si era divolgato, perché il Padre Gieronimo non haveva a caro che si dicesse, et che perciò haveva commandato in virtù d'obedienza alli putti et huomini ch'erano seco, che non ne dovessero parlare. Et esso Battista mi diceva che lui era il terzo putto presso la croce, cioé ch'era delli piccolini, et ch'era intervenuto et stato presente a detto miracolo, quando resuscitò detto giovinetto morto".
Tenendo presente l'anno della morte di San Girolamo (1537) si può desumere che il fatto narrato deve essere avvenuto 30/40 anni prima dell'erezione a parrocchia di Maggianico, avvenuta il 12 Novembre 1567 ad opera di San Carlo Borromeo.
E per concludere ricordiamo la grande devozione che le popolazioni del nostro territorio hanno sempre avuto ed anche oggi conservano per questo santo, campione ed apostolo della fede e della carità nel nome di Gesù.
Anche i maggianichesi hanno ancora oggi una particolare predilezione verso San Girolamo.
Negli anni ormai lontani della fanciullezza di chi scrive si vedevano, specialmente il 3 febbraio (festa del Santo in ricordo del suo passaggio alla Vita senza fine) e la domenica seguente, transitare da Maggianico frotte di gente che si recava in pellegrinaggio a Somasca proveniente dai diversi paesi. Naturalmente a piedi, perché allora non c'era tutto quell'inferno di automobili ohe ora ci rende sempre più complicata la vita, anche se qualche volta più comoda.
E la gente pregava, conversava e ... camminava.
Nel ricordo affiora anche la devozione di andare a San Girolamo a "fare la scala santa" al mattino presto nei venerdì di quaresima. Si partiva intorno alle ore 4 per poter rientrare per gli impegni di lavoro o di scuola. E si saliva la scala santa in ginocchio, pregando.
Se accenniamo a questi ricordi non é per inutile nostalgia ma per affermare che la continuità della fede é anche nel mantenere vive le belle tradizioni ed il genuino spirito religioso che ad esse si accompagna.
Facciamo memoria per avere speranza.

G.B. 9 gennaio 1994


Il santuario di S. Girolamo Emiliani in Somasca

Il santuario di S. Girolamo Emiliani in Somasca

IL Cavaliere della carità San Girolamo Emiliani (o Miani) nacque in Venezia nel 1481. Lo splendore del suo casato viene riflesso in lui dal senatore Angelo Emiliani e dalla nobildonna Dionora Morosini, che trasfusero in questo "quarto figlio" il nobile sangue della loro stirpe, la quale diede alla patria senatori, procuratori di S. Marco, soldati e trionfatori, e congiunse alla gloria delle armi e delle dignità quella immortale della religione.
Perduto il padre, giovanissimo ancora (non aveva raggiunti i quindici anni), prese parte alla guerra che i Veneziani ebbero contro Carlo VIII e corse al Taro, al campo della Lega, affidato dalla madre vedova ai Provveditori veneti, e combatté a Fornovo nella giornata del 14 luglio 1494, per cui Carlo si partì d'Italia. Venne poi contro Venezia il turbine della Lega di Cambrai: e allora Girolamo, conosciuto come giovane fiero e valoroso, fu mandato (1511) Provveditore di guerra a Castelnuovo di Quero, sul Piave, quasi quel fiume dovesse essere consacrato da lui confine inviolato alle invasioni straniere. Ma il 27 agosto dello stesso anno l'esercito cesareo comandato dal La Palisse, battuto il castello, fece prigione di guerra il Provveditore che con ferri ai piedi e alle mani, con intorno al collo un cerchio di ferro, con una pesantissima palla che gli toglieva non solo ogni riposo, ma anche ogni moto, e legato con una lunga catena attraverso la persona, era ridotto ad uno stato veramente compassionevole.
Non vedendo il Miani da chi potesse sperare aiuti fra gli uomini, si rivolse alla Vergine SS. la quale, apparsagli visibilmente, gli sciolse le catene, gli porse le chiavi della prigione e lo mise in libertà. S'avviò tosto al Santuario di Santa Maria Maggiore in Treviso e, incontratosi lungo il cammino nei nemici, si rivolse ancora alla Vergine, la quale, apparsagli nuovamente e presolo per mano, lo condusse incolume fino alla vista della città. A Treviso depose all'altare di Maria gli strumenti della sua cattività, che ancora si conservano, e stese il miracolo in una tavoletta che disgraziatamente è andata in fiamme, ma di cui si ha copia autentica.

MIANI REGGENTE DI CASTELNUOVO. LA PRIMA CASA DEGLI ORFANI.
Per compiacere al fratello Luca nominato senatore della Repubblica e governatore di Castelnuovo, riprese Girolamo la reggenza del medesimo Castello, ove più che vita di governatore, menava una vita eremitica.
Nel 1524, venuto a morte il fratello Luca, assunse la cura di tre nipoti pupilli, i cui beni amministrò con grande carità e disinteresse.
Intanto l'animo suo veniva a mano a mano staccandosi da tutte le cose terrene, per applicarsi intieramente alle cose di Dio. Compariva in pubblico con abiti negletti; camminava con incesso modesto, godendo delle dicerie e del disprezzo dei suoi concittadini. Vedeva erranti per la città fanciulli poveri ed abbandonati; mosso a compassione di tanti infelici, prese a pigione una casa nella parrocchia di San Basilio; ivi ne raccolse buon numero che educava cristianamente e faceva loro apprendere un mestiere per vivere.
Scelse egli intanto a direttore della sua coscienza il P. Caraffa, già vescovo di Chieti, il quale con l'aiuto di S. Gaetano Thiene lo portò ad alta perfezione. La casa per gli orfani aperta a S. Basilio rigurgitava di poveri fanciulli e non ne poteva più contenere. Pensò allora Girolamo di prenderne un'altra, pure a pigione, a S. Rocco, ove condusse gli orfanelli raccolti nelle isolette intorno a Venezia. Dai governatori dell'ospedale degli "Incurabili" fu invitato a riformare la disciplina in esso decaduta; vi si recò per obbedienza del suo direttore e per desiderio di S. Gaetano, con tutti i suoi orfanelli. Vi restò poco, perché nel 1532 ad istanza del vescovo di Bergamo Pier Lippomano e col comando del Caraffa, si recò in Lombardia, ma prima passando a Verona.
A Verona istituì un orfanotrofio e dopo poco si recò a Brescia, ove ne fondò un altro, per mantenere il quale andava egli stesso limosinando, e a lui si associarono in quest'opera pietosa il dotto Agostino Gallo e il cav. Iacopo Chizzola e i nobili Giampaolo Averoldo e Giov. Battista Lazzago, ai quali affidò la casa degli orfani, detta "della Misericordia".

SAN GIROLAMO NEL BERGAMASCO.
Intanto egli s'avvia a Bergamo. Era il tempo della mietitura, quando S. Girolamo entrò nel bergamasco. La messe era abbondante, ma scarsi gli operai per causa della moria; il Santo si uni ai pochi mietitori a falciare il grano, non senza procurare il bene spirituale di questi rozzi contadini.
Terminata la mietitura del grano, entrò in Bergamo, portandosi direttamente dal Vescovo Mons. Pietro Lippomano che l'accolse quale angelo mandato da Dio per il bene della sua diocesi. Incominciò a raccogliere nel sobborgo di S. Leonardo, presso l'ospedale della Maddalena, gli orfani che numerosi vagavano per la città. Un giorno, giunta l'ora della refezione, Girolamo non aveva di che cibare i suoi orfani: tuttavia fece dare il solito segno di campanello per la mensa. Fatta fervorosa orazione, ecco che si videro sulle tavole disposte, secondo il consueto, le povere vivande, senza essere stata veduta da alcuno la mano benefica che aveva provveduto alla fame di tanti. Aprì ancora a Bergamo un ricovero per povere orfanelle e per donne che rotte al vizio volevano redimersi.
Erano i tristi tempi in cui le dottrine luterane facevano scempio delle popolazioni urbane e rurali. Girolamo, scelti alcuni orfanelli meglio istruiti nella dottrina cristiana, col crocifisso inalberato scorre villaggi e terre del bergamasco per diffondere l'istruzione religiosa fra quei poveri contadini, introducendo per primo quel sapiente metodo d'insegnamento per domanda e risposta che fu poi adottato dalla Chiesa nell'insegnamento della dottrina cristiana.

IL SANTO A COMO E A SOMASCA.
Stabilite queste opere benefiche a Bergamo, pensò di recarsi a Como, e scelto un drappello di fanciulli orfani e derelitti, si portò direttamente alla casa del gran letterato Primo de' Conti che cortesemente ospitò Girolamo e i suoi orfanelli. Fondò in Como due istituti per orfani e orfanelle, ai quali pose per direttore il detto Primo de' Conti, fattosi suo discepolo: dietro l'esempio di Primo anche il suo amico, il ricco Leone Carpani di Merone, divenne seguace di Girolamo.
Desideroso di solitudine, dopo di avere perscrutati parecchi luoghi della Valle di S. Martino, stabilì la sua dimora in un villaggetto, detto Somasca, frazione del Comune di Vercurago, a Km. 6 da Lecco e 26 da Bergamo. Quivi prese a pigione dalla famiglia Ondei una casa, ove si stabilì con la sua famigliola di orfani e discepoli suoi che manteneva colle limosine, che egli stesso accattava per i vari paesi della valle. E quivi egli lavorava per la gloria di Dio, raccogliendo orfanelli che ramingavano per quelle terre, curando malati che numerosi a lui si portavano, coltivando la terra con quei paesani, insegnando loro la dottrina cristiana e istruendo gli orfanelli che costituivano già una grande famiglia, e operando miracoli e prodigi strepitosi.
Da Somasca intanto correva a visitare spesso le istituzioni di opere pie da lui fondate in varie città: Milano non aveva ancora un orfanotrofio e ne aveva tanto bisogno. Si recò Girolamo a far sentire, in quella immensa metropoli lombarda, l'ardore della sua carità: entrò in Milano malato e sfinito di forze. Il Duca Francesco Sforza, conosciute le grandi opere da Girolamo operate nel suo Stato e sapendo del suo arrivo a Milano, gli mandò incontro alcuni cortigiani con una cavalcatura. Giunto a Milano rifiutò l'invito offertogli alla reggia e volle essere condotto all'ospedale.
Il Duca gli fece offrire una borsa piena di monete d'oro per i suoi orfani, ma il Santo così rispose alle insistenze del messo del Duca: "Rendete grazie al Signor Duca, e ditegli che perderemmo un troppo gran tesoro se, venuti in Milano poveri, dovessimo partirne ricchi. Se egli sa far buon uso delle sue ricchezze, lasci che noi ancora facciamo buon uso della nostra povertà".
Ammirò il Duca lo spirito veramente evangelico di Girolamo e gli offrì la casa di S. Martino che pagò ai proprietari, cioè ai governatori dell'ospedale.
Intanto Girolamo girava per la città raccogliendo orfanelli e così ebbe origine l'orfanotrofio di S. Martino, tuttora esistente, noto ai Milanesi col titolo dei "Martinitt". A Milano divennero suoi discepoli Mons. Federico Panigarola, D. Francesco Croce, Girolamo Calchi, Ambrogio Schieppato; tutti illustri per nobiltà di natali e per dottrina.

A PAVIA E ANCORA A SOMASCA.
Stabilito l'orfanotrofio di S. Martino, si recò a Pavia con un drappello di orfanelli, con la solita croce inalberata.
Entrato in città, fu un accorrere di gente a vedere il nuovo e meraviglioso spettacolo di quella processione di fanciulli devoti e cantanti inni e laudi spirituali. Si diresse all'ospedale. I cittadini gli diedero poi una casa detta la Colombina con la chiesa dedicata allo Spirito Santo e quivi aprì un orfanotrofio, ove raccolse un numero grande di fanciulli. Ebbe quivi discepoli due distinti gentiluomini, che abbandonate ricchezze e cariche onorifiche, si misero alla sua dipendenza: essi furono i Conti Angiolmarco e Vincenzo Gambarana, che grandi cose operarono per Dio: con questi due nuovi compagni ritornò il nostro Santo a Milano e quindi a Somasca. E la prima cosa che quivi compì fu di dare norme e regole ai tanti suoi seguaci che egli costituì in corpo, chiamandolo "Compagnia dei Servi dei poveri". Queste leggi e regole sottoposte dal Santo all'approvazione del Vescovo di Bergamo, furono dal medesimo approvate ed elogiate. La Compagnia poi fu annoverata da S. Pio V tra gli Ordini religiosi e prese il nome di Ordine dei Chierici Regolari Somaschi.

LA NUOVA DIMORA DEI DISCEPOLI E DEGLI ORFANI.
Cresciuto intanto il numero dei discepoli e degli orfani e incapace la casa degli Ondei a contenere tanto numero di persone, pensò il Santo di condurre ad abitare i religiosi sul giogo del monte, ove accomodò alla meglio un'antica torre affatto diroccata e diruta, con una cappella già esistente, dedicata a S. Ambrogio. Mancava però l'acqua e il Santo fece scavare una ben larga cisterna, da cui miracolosamente pullulò una vena d'acqua che tuttora scaturisce. In questa solitudine S. Girolamo viveva in strettissima povertà, e attendeva per lunghe ore all'orazione e agli esercizi di pietà, non mancando di visitare, ogni giorno, i suoi orfanelli che abitavano alla Valletta.
Era penoso per quei poveri fanciulli di andare ad attingere l'acqua sulla sommità del monte; Girolamo, fatta orazione, operò un nuovo miracolo, fece cioè spicciare dal vivo sasso una sorgente d'acqua, che tuttora si chiama la fonte del Beato, non senza essere di grande giovamento all'anima e al corpo di chi la beve per divozione.
Un fatto doloroso quanto inaspettato venne a turbare la pace dei suoi diletti orfanelli. Il demonio era penetrato in quell'ospizio e ne turbava la quiete: con fantasmi ed apparenze spaventevoli toglieva loro il riposo della notte, li impauriva e li faceva tremare di spavento; e chi prorompeva in risa smodate durante la preghiera, chi in parole sconce.
Ricorse allora il Santo alla Vergine SS. per fugare il nemico tentatore: ordinò ai fanciulli di cantare la Salve Regina prima di andare a letto e la mattina subito alzati. Così ebbe fine quella infernale tregenda.
Era il 1534; S. Girolamo si recò a Venezia per riordinare e raffermare l'Ospedale del Bersaglio e, passando per Bergamo, Brescia e Verona, non tralasciò di fare una visita alle istituzioni da lui fondate. Sistemate le cose al Bersaglio, ritornò in Lombardia passando per Vicenza, dove aggiunse con la cooperazione del celebre letterato Giangiorgio Trissino e della sua consorte Donna Bianca, una sezione per gli orfani all'ospedale della Misericordia.
In Verona, ov'era andato per prendere la benedizione del suo direttore Mons. Gian Pietro Caraffa, dai sacerdoti Stefano Bertazzoli, Bartolomeo e Giambattista Scaini, fratelli, fu invitato il Santo in Salò, dove si recò col permesso del suo direttore Caraffa; in questo villaggio diede egli esempio di grande mortificazione. Mentre i detti sacerdoti percorrevano la strada a cavallo, egli li seguiva a piedi e, in Peschiera, ove fecero sosta sedendosi alla mensa condita di cibi abbondanti e squisiti, il Servo di Dio non si cibò che di solo pane. E il Bertazzoli accortosene disse: "Avvertite messer Girolamo che omnis repletio mala, panis autem pessima"; al che Girolamo rispose: "È vero ed io ne sono troppo ingordo; conviene mortificarsi e prenderne il puro bisogno".
Giunto in Salò, fu ospite degli Scaini i quali gli imbandirono una lauta mensa; ma in mezzo a tanti cibi, considerando la passione di G. C., diede in dirotto pianto. Ritiratosi dalla mensa, tra un effluvio di lacrime, incominciò ad esclamare: "Il mio Signore ha patito fame e sete su questa terra, e tu, Girolamo, hai osato di sedere a mensa si lauta" e chiese perdono a Dio di questa mancanza.

COME IL SANTO VISSE E ISTRUÌ I FANCIULLI.
Ritornato a Bergamo e indi a Somasca, raddoppiò le sue austerità e le sue mortificazioni. Si ritirava, per attendere con più agio alle sue penitenze e discipline corporali, in una grotta detta l'eremo e ivi, per più ore, restava in contemplazione del suo Gesù, flagellandosi a sangue. Passava gran parte della notte in orazione e prendeva pochi momenti di riposo, sopra un duro sasso che sporgeva alquanto fuori del monte. Di giorno, dopo di aver atteso alle orazioni comuni, si occupava dell'educazione e dell'istruzione dei suoi orfanelli. Accadde tra l'altro in quell'anno (1535) un fatto mirabile da cui si rileva la gran carità e potenza di S. Girolamo. Era caduta tanta neve, ch'era impossibile scendere dalla Valletta al paese per la solita questua.
Era l'ora della refezione e non v'erano che tre pani in casa. Pieno egli di fiducia in Dio, dopo breve orazione, chiamò la famiglia a mensa. Erano sessanta persone circa; divisi in pezzi i tre pani e postili nel grembo della sua veste, ne distribuì a ciascheduno una buona porzione, e, saziati tutti, ne rese gli avanzi al dispensiere. Un tozzo di questo pane miracolosamente moltiplicato, fu conservato da uno di quegli orfanelli, tal Martino Martellino, che, divenuto sacerdote e parroco, lo divideva in briciole ai malati della sua parrocchia i quali guarivano prodigiosamente.
Per vivere più intimamente con Dio, pensò di segregarsi dalla sua comunità e internarsi in una grotta ch'egli stesso ridusse a luogo di abitazione, trasportando dalle rive dell'Adda la sabbia e dal monte le pietre. Questa grotta che ha il nome di Eremo, è sacra perchè consacrata da aspre penitenze, da preghiere e da lacrime di S. Girolamo. Quest'eremo ha, come bene scriveva una valente collaboratrice nel Giornaletto "Il Santuario di Somasca", una speciale prerogativa, quella cioè di risanare le persone travagliate da mali alle gambe.
Fu indetto a Brescia un convegno dei Padri della Compagnia, per il servizio di Dio e del prossimo nelle varie case fin allora aperte: Girolamo partì da Somasca nel maggio del 1536 per recarvisi. Chiusa la radunanza il Santo volò a Somasca, per riprendere le austerità e la penitenza.
L'anno appresso mons. Caraffa elevato alla porpora da Papa Paolo III, ne informava Girolamo, invitandolo a Roma per raccogliere in quella città i fanciulli abbandonati che numerosi vagavano in Roma e dintorni. Comunicò Girolamo la lettera ai compagni dicendo loro: "Fratelli miei, sono chiamato nel medesimo tempo a Roma e al Cielo, ma il viaggio di Roma sarà impedito da quello del Cielo". Dolenti i compagni della prossima dipartita del loro amato Padre: "Non v'accorate" diceva loro, "di maggior aiuto vi sarò io nell'altra vita, di quello che potrei esservi nella presente".

LA SUA MORTE EDIFICANTE.
Scoppiò, sul principio del 1537, una febbre contagiosa che faceva immensa strage. Il male penetrò anche in Somasca e nell'ospizio degli Orfanelli.
La carità di Girolamo qui non ha limiti nell'assistere a tanta e tanta gente, vittima del male ferale, ed anche Girolamo ne fu colpito. Non è a dire il dolore che afflisse il cuore degli orfani per la malattia del loro padre; una processione di gente, da vicino e da lontano, si recava a visitare Girolamo infermo. Per quattro giorni combatté contro il male, ma prevedendo prossima la fine chiese i SS. Sacramenti. Invitati a sé i vecchi della terra, li esortò a vivere sempre nel timore di Dio, ed egli avrebbe dal cielo difeso le loro terre da grandine, ecc.; fece chiamare a sé anche i suoi cari orfanelli, esortandoli a guardarsi sempre dal peccato. Era la mezzanotte dal sette all'otto febbraio 1537, quando Girolamo entrò nel Cielo, per essere protettore degli orfani, dei pupilli, degli infelici. L'opera sua benefica continuò tuttavia anche dopo morto: un tal Giov. Antonio Mazzoleni, che si era opposto acremente che Girolamo con i suoi orfanelli si stabilisse in Calolzio, ebbe da quell'infausto giorno tale attrazione alle gambe, che non poteva muover passo senza l'aiuto delle stampelle.
Appena saputo della morte del Santo e dei prodigi che operava in Somasca, s'inginocchiò presso la bara di Girolamo e, con le lacrime agli occhi, così esclamò: "Ah Girolamo, se voi siete veramente quel Santo che tutti vi predicano, rendete bene per male; restituitemi la sanità". Ciò detto, si trovò perfettamente guarito.
Tralasciamo di citare i tanti e tanti miracoli, che al suo sepolcro si compirono e si vanno compiendo tutti i giorni. Il giornaletto Il Santuario di Somasca, che si pubblica ogni mese e che li registra a mano a mano, è pieno di testimonianze della benevolenza di Girolamo a favore di chi lo invoca ed è di Lui veramente devoto, a beneficio specialmente dei bambini.
Fu beatificato dalla s. m. di Benedetto XIV l'anno 1747 e canonizzato dal Pontefice Clemente XIII il 16 luglio 1767.
Recentemente poi, in occasione del quarto centenario della fondazione dell'Ordine dei Padri Somaschi, il Santo Padre si degnava proclamare S. Girolamo Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata.

CASTELNUOVO DI QUERO.
Sorge il castello a nord di Quero, all'imboccatura del Piave, di fronte alla Gusella di Vas, l' "acus Avasi" di Plinio, nei pressi della stazione ferroviaria di Quero-Vas. Costruito di viva e grossa pietra, signoreggia la strada nazionale, in modo che non si può passare che attraverso di esso, essendo appoggiato da un lato al monte, che si erge quasi a picco, e dall'altro al Piave. Sulla sponda opposta del fiume esisteva un altro torrione, che si poteva dire il completamento di Castelnuovo, poiché ad esso metteva capo la lunga catena di ferro, destinata allora ad impedire il passaggio lungo il fiume. Il costruttore del fortilizio fu Giovanni Cavalli, veronese, capitano generale dell'esercito veneto, nel 1375. Castelnuovo ha una storia, spesso di gesta gloriose. Molte volte arrestò i suoi assalitori, e se talvolta dovette cedere, ciò lo fu quando tutti i mezzi di difesa erano esauriti. Sappiamo ad esempio che nel luglio 1500 gli Alemanni lo bersagliarono colle artiglierie, in modo che Andrea Raimondi, capitanodella Serenissima, dovette abbandonarlo. Alla gloria però di Castelnuovo basta un nome, quello di Girolamo Miani.
Il castello, nel corso del tempo passò a proprietà privata ed uno degli ultimi possessori fu il cav. Favaro di Bassano.
Durante la guerra europea esso fu più volte bersagliato dalle nostre artiglierie, perché il nemico aveva colà accumulato grande quantità di munizioni, che bombardate dai nostri nel gennaio del 1918, scoppiarono con tremendo fracasso, fortemente danneggiando il castello. I Somaschi che sempre mirarono a ricuperare quella che si pote-va chiamare la culla del loro Santo Fondatore, poterono finalmente acquistare il castello e si diedero tosto premurosi a metterlo in onore. Si è pensato, prima di ogni cosa, al carcere, dove avvenne la prodigiosa liberazione, e che fu trasformato in Cappella storico-monumentale. Il lavoro fu eseguito sotto la direzione dell'architetto comm. Domenica Rupolo, che volle intonata la Cappella, al carattere severo del castello.

SOMASCA, NELLA VALLE DI SAN MARTINO.
Il nome di Somasca, scrive U. Pozzoli, vola da quattro secoli per l'Italia e per il mondo, dovunque palpita il cuore di un figlio di S. Girolamo Emiliani. La piccola terra ha quasi perduto il suo nome: il popolo delle valli dell'Adda della piana di Brianza non parla più di Somasca; per il popolo quell'angolo benedetto di terra è "S. Girolamo", senza altro!
Questo fortunato paesello della Valle di S. Martino, posto sul pendio di un'amena collina alla falda occidentale dell'alto monte Scaliggia (il Pizzo) signoreggia su Vercurago, altro piccolo villaggio, quasi sul margine dell'Adda, sulla ferrovia Milano-Lecco e Bergamo-Lecco.
Da Calolzio, passato il ponte sopra il torrente Galavesa lungo la via provinciale, prima di giungere a Vercurago, sulla destra si presenta una strada vicinale ampia, fatta ricostruire a proprie spese dal signor Giacomo Miani, veneto, Senatore, ultimo superstite dell'illustre antica sua famiglia.

LA CHIESA E IL COLLEGIO DELLA CONGREGAZIONE.
Si sale dolcemente per detta strada sino al villaggio, ove nel centro sopra un'eminenza esiste la CHIESA e il COLLEGIO della Congregazione dei Chierici Regolari Somaschi. Questa Parrocchiale dedicata all'Apostolo S. Bartolomeo, staccata da quella di Calolzio l'anno 1566, è di semplice disegno; e ciò che la nobilita è la bella e ricca Cappella eretta in onore di S. Girolamo Emiliani, colle larghe contribuzioni di alcuni individui della Congregazione Somasca e segnatamente della Valle l'anno 1754. È pregevole pei vaghi marmi e pezzi di scultura, e per le indorature e molto più perché conserva in un'urna d'argento la preziosa salma del Santo: la quale vi chiama il concorso delle pie genti da ogni regione anche più lontana. Il bel quadro raffigurante S. Girolamo in gloria è di Jacopo Alessandro Calvi, bolognese (1751-1815), della scuola del Crespi, detto lo Spagnolo. L'altare di fronte alla detta cappella, dedicata alla Vergine del Rosario, è adorno dei misteri, dipinti dal nostro Carlo Ceresa. Dello stesso autore sono i quadri che fregiano il coro; e quello di mezzo rappresentante il Santo Apostolo titolare, è di ignoto stimato pennello. Il soffitto è adorno di tre buoni affreschi del Galizzi di Bergamo. In coro esistono altresì due ripostigli di pregiate sacre reliquie; e la sacrestia ha un ritratto del Santo, che vuolsi preso dal naturale.
Il COLLEGIO poi della Congregazione che è contiguo alla Chiesa fu per due terzi rifabbricato con sodo e nobile disegno dal Padre Buratti della stessa Congregazione. Questa fabbrica è sorta sopra le rovine di un antico castello, rinomato nelle patrie storie e che segnava l'epoca infelice delle famose guerre dei secoli XIII e XIV. In esso S. Carlo Borromeo stabilì un piccolo seminario di dodici studenti, destinati poi alle parrocchie di montagna; seminario che in seguito passò agli Oblati di Celana. Proprio in questi giorni un braccio del caseggiato è stato rialzato di un piano (dalle cui finestre si gode uno dei panorami più incantevoli) per la sede del NUOVO NOVIZIATO, quivi trasferito da Roma, che si è inaugurato con dodici fervorosi Novizi il 2 ottobre scorso.

LA CELLA DOVE MORI' S. GIROLAMO. LE CAPPELLE.
Nella contrada, poco inferiormente al Collegio, vi è un piccolo bell'ORATORIO DELL'ADDOLORATA, presso l'umile cameretta che a primiero ricovero del Santo fu accordata dalla famiglia Ondei. In questa povera stanzuccia nella quale il Santo morì e che si conserva ancora così rozza com'era a quei tempi, si vede sul muro, difesa da vetri, una croce segnata da lui stesso, in color rossastro, pochi giorni prima di morire.
Ma, lasciato addietro il caseggiato di Somasca, all'occhio si offre la strada che, sempre dolcemente salendo, conduce all'eccelso luogo detto la VALLETTA, vero romitaggio.
All'ingresso di questa strada, il benemerito P. Pietro Rottigni fece innalzare un arco di viva pietra, ricordante i benefici autori del riattamento della strada, i piissimi fratelli PP. Commendoni (o Comenduni). Lungo la strada, a destra di chi sale, sono costruite nove graziose CAPPELLE (alcune dello scultore Cattaneo di Bergamo) nelle quali sono riprodotti in plastica e al naturale i principali episodi della vita del Santo: furono innalzate in epoche diverse tra il 1837 e il 1881. Ad un certo tratto poi della via medesima trovasi un altro ripidissimo accesso: è la così detta SCALA SANTA di cento gradini massicci che Girolamo stesso faticosamente costrusse, portandosi a spalla le pietre e l'arena della riva del lago sottostante. Si sale sempre in ginocchio pregando, essendovi annesse alcune indulgenze. Ogni giorno, in tutte le stagioni, persino con la neve ed anche di notte si vedono persone divote salire la Scala Santa per implorare da S. Girolamo qualche grazia particolare. In cima alla Scala Santa vi è una grotta incavata nella roccia, chiamata l'EREMO, dove, come si è detto altrove, il Santo passava le notti in orazione e penitenze; ivi si ammira in grandezza naturale una bella statua di pietra di Viggiù, fatta nel 1837 dallo scultore Stefano Butti, che lo raffigura genuflesso, contemplativo, deprecante con una commozione che coglie nel più intimo dello spirito.
Proseguendo ancora per la detta strada, si giunge ad un secondo arco che introduce alla VALLETTA. Subito si affaccia allo sguardo il Cimitero dei PP. Somaschi, bello nella sua sobrietà e semplicità: è un edificio serio in mezzo ad un giardinetto, chiuso da una elegante cancellata, dovuto all'architettura del bravo ingegnere Giuseppe Bovara di Lecco. L'altare della Cappella mortuaria è abbellito da un artistico quadro "La Risurrezione", dipinto nel 1819 da Giuseppe Mazzola.
Al fianco sinistro di chi sale si trova la decima Cappella, che rappresenta la morte di S. Girolamo, la quale non poteva essere posta in un luogo più adatto. Sta di rimpetto al cimitero dei PP. Somaschi: par di sentire lo spirito del beato Padre aleggiare e librarsi sopra i suoi degni figli, guardarli e custodirli amorosamente, anche oltre la tomba.
Nulla diciamo delle bellezze naturali che di qui si ammirano; è questo uno dei punti più meravigliosi di quel delizioso lembo di terra che è tutto una poesia, un incanto, un sorriso.

IL SANTUARIO DELLA VALLETTA.
Salendo una scalinata, si trova il SANTUARIO DELLA VALLETTA, che ai tempi di S. Girolamo era una casuccia ad uso di alcuni orfanelli, che teneva a Somasca. È di un genere più unico che raro: l'altare e tutta la parete a cui è addossato non sono che una rupe, quella stessa dalla quale un giorno, per le preghiere del Santo, sgorgò acqua fresca e saluberrima a dissetare gli orfani e gl'infermi. Quell'acqua miracolosa zampilla ancora, e sempre nella medesima quantità anche nelle più fiere siccità, è un continuo prodigio, e presa con divozione opera tuttora segnalate grazie: essa si raccoglie in apposito recinto, pure addossato alla rupe, di fianco all'Oratorio. Sopra l'altare vi è una bella statua del Santo, in atto di invitare i fedeli a guardare un grande Crocefisso. Sotto l'altare si vede una grande sporgenza; è il sasso che si avanza dalla rupe, dove S. Girolamo soleva prendere la notte il suo scarso riposo. Il Santo vi è rappresentato giacente, con tale naturalezza che lo direste vivo.
Avanti all'oratorio si aprono due vie, l'una a destra e l'altra a sinistra; l'una, comoda ed amena, conduce all'EREMO, dove è l'undecima Cappella che torreggia la Scala Santa; l'altra, erta e scoscesa, ma non meno bella, attraverso le selve porta alla cima del monte, alla ROCCA o CASTELLO, che pare fosse un antico fortilizio, di cui ora non rimane che un mozzicone di torre quadrata, pochi ruderi e un piccolo Oratorio: nella torre si ammira la dodicesima Cappella che rappresenta la moltiplicazione dei pani operata da S. Girolamo (scultore E. Goglio di Piazza Brembana), i pochi ruderi sono i gloriosi resti della povera abitazione costruita dal Santo per i suoi orfanelli; nel piccolo Oratorio dedicato a S. Ambrogio un sacerdote della nascente Congregazione celebrava ogni giorno la Santa Messa e S. Girolamo vi istruiva i suoi fanciulli.

RICORDI MANZONIANI.
Lassù i primi Manzoniani vollero ravvisare il CASTELLO DELL'INNOMINATO descritto nei Promessi Sposi; ma all'epoca del romanzo il fortilizio sulla Rocca non c'era più, perchè, già cent'anni prima vi era salito S. Girolamo con quaranta suoi compagni e orfanelli e ne aveva fatto la sua dimora prediletta. È però probabile che il Manzoni s'ispirasse a questi luoghi, perchè la descrizione ch'egli ci dà del Castello dell'Innominato s'attaglia quasi a pennello con la Rocca di Somasca.
Nel mezzo del ripiano che occupa tutta la vetta, campeggia una grande croce di ferro, il CROCIONE, che distende le sue braccia sulla pianura bagnata dall'Adda e coronata dai monti. Da questa cima si ammirano bellissimi e svariati panorami: di fronte tutta la vallata dell'Adda sino dove i monti dell'Alta Brianza degradano al piano, i laghi di Annone e di Pusiano nella conca formata dai monti Briantei, dal monte Barro colla Rocca di Malgrate e dai Corni di Canzo; la Valbrona, la Valsassina sino alla discesa di Bellagio; a sinistra i primi paeselli che si trovano su quel di Bergamo, sul Resegone, il San Martino ; a destra le due Grigne ed i monti della Valsassina; nel mezzo a queste due catene non interrotte di monti, la massa argentea del Lago di Lecco, poi l'Adda serpeggiante sperdentesi nel verde, con tutti gli innumerevoli e pittoreschi paesi che in essa s'affacciano, fra i quali spiccano subito di sotto Calolzio e Olginate, Garlate, Maggianico, Pescarenico, nonché la città di Lecco.
... E il nostro pensiero si riporta a S. Girolamo: qui egli arrivava trafelato, qui si affaticava, da questi spalti si affacciava al medesimo panorama di oggi, acque, colli, montagne, dirupi! Qui sedeva a sacri colloqui, qui mesceva i suoi ai canti dei fanciulli, qui loro insegnava Dio, Gesù, la Chiesa, il Paradiso! E il cuore si solleva e spazia al di sopra delle bellezze create, penetra i cieli, si perde in Dio!


S. Girolamo Emiliani - dipinto del Tiepolo

liberazione prodigiosa di San Girolamo

Castelnuovo di Quero

panorama preso dalla strada di Somasca

Somasca - gradinata e Parrocchiale

cappella dove si venera il corpo del Santo

edificio dei Padri Somaschi

strada al santuario della Valletta

la Scala Santa

una delle cappelle

la Valletta - interno della chiesina

alla Valletta - interno del Santuario

il fonte fatto scaturire miracolosamente

veduta della Valletta

cappella di Sant'Ambrogio

il castello dell'Innominato

panorama di Vercurago, di Somasca e del Castello

la povera stanzuccia dove morì il Santo

veduta dell'interno della chiesa parrocchiale di Somasca

il panorama di Lecco veduto dal Castello

la scala che mette al Castello

la torre del Castello