Maggianico - CENNI STORICI

Questo documento è stato ricavato da una "bozza dattiloscritta per la storia di Maggianico" che ho trovato nel vecchio archivio di mio padre. L'autore è un sacerdote (di cui non ho trovato da nessuna parte il nome) che era ospite a Maggianico negli anni intorno al 1960. (N.B.)

panorama di Maggianico

MAGGIANICO, BARCO E MISSIRANO
VICINANZA DI ANCILLATE


CAPITOLO I°
Un lembo dell'ampia costiera

A specchio del lago di Garlate, che forma come l'atrio del manzoniano "ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno", sovra un lembo della celebrata "ampia costiera" si estende il territorio di Maggianico, formato da "campi, vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano sulla montagna" anzi sulla sua caratteristica montagna: il Magnodeno.
Il lago, il Magnodeno ed il torrente Civo, ohe si precipita in fragorosa cascata sopra Maggianico,e che unisce e lega perennemente il monte donde scaturisce impetuoso allo specchio dell'acqua dove si adagia placato, sono gli spetti topografici che distinguono il territorio di quel lembo dell'ampia costiera sul quale la piccola comunità o meglio la "Vicinanza" di Ancillate costituita da tre nuclei ben definiti (Maggianico, Barco e Missirano) ha costruito pazientemente la sua storia secolare.
Il quale territorio é stato delimitato chiaramente e definitivamente nella sua estensione, da un'esigenza spirituale, a Parrocchia, che ancor oggi la "Vicinanza" di Ancillate mantiene come unico elemento distintivo nella "grande Lecco" sorta nel 1924 (1° Gennaio).
Quando perciò parleremo del territorio di Maggianico intenderemo appunto indicare la circoscrizione parrocchiale, formata dai primitivi tre nuclei della sua popolazione - Barco, Missirano e Maggianico che furono anteriori alla Parrocchia stessa e le cui origini si dissolvono in lontane epoche difficilmente determinabili.
E' indispensabile gettare un'occhiata al paesaggio di Maggianico per fermarne i tratti caratteristici che formano come la splendida cornice entro la quale andremo ricercando pazientemente i modesti avvenimenti umani succedutisi nel tempo e per lo più di interesse solamente locale, ma tuttavia di significato storico tutt'altro che trascurabile.
Sovrasta Maggianico il monte Magnodeno, qui più che altrove scosceso tanto da mostrare evidente l'andamento dei suoi strati rocciosi.
Causate dal corrugamento della crosta terrestre, si osservano pieghe e rotture della roccia, talora di grandi dimensioni oppure sottili accartocciamenti e semplici fessure.
Esempi bellissimi di tali grandiosi fenomeni naturali si vedono appunto nella parete rocciosa del Magnodeno che sovrasta Maggianico e Vercurago.
Nelle lontane ere geologiche i ghiacciai ricoprivano tutta questa zona; il ghiaccio muovendosi oppure sciogliendosi nei periodi interglaciali, ha lasciato sulla roccia e sulla costiera ampie tracce che sono tuttora visibili e tuttora costituiscono l'aspetto precipuo del paesaggio.
Guardando, da Maggianico, il primo terrazzo del Magnodeno si ammirano bellissimi arrotondamenti glaciali della roccia; al movimento del ghiacciai sono pure dovuti i terreni alluvionali terrazzati, largamente coperti da depositi morenici che formano la striscia di terra tra la montagna ed il lago e che gli abitanti, umili contadini, hanno dissodato e coltivato da molti secoli con tenace fatica.
Questi fertili terreni alluvionali e morenici sono ricchi di pozzi perenni e di sorgenti che attestano una discreta abbondanza di acque freatiche e che danno al paesaggio un aspetto verdeggiante(2).
A Maggianico l'acqua sorgente dalle rocce del Magnodeno determina due fenomeni naturali.
Nel primo le acque compiono un lavoro costruttivo con la formazione del tufo; questo calcare viene fabbricato dall'acqua quasi sotto i nostri occhi. Le acque ohe si arricchiscono di bicarbonato di calce scorrendo nei meandri rocciosi, alla sorgente perdono l'eccesso di anidride carbonica e depositano il bicabornato di calce, incrostando le erbe ed i muschi che incontrano nel loro passaggio. Così si spiega la forma spugnosa ed arborescente che é caratteristica del tufo.
Il secondo fenomeno notevole che si verifica a Maggianico é la sorgente di acqua salina, solforosa e assai calchifera scoperta nel 1850 e di cui subito si esaltarono gli straordinari poteri terapeutici.
Ma di questa "Fonte della Salute" famosa piuttosto perché pretesto a clamorosi convegni mondani, parleremo nel capitolo che celebrerà i fasti della "Scapigliatura milanese" a Maggianico.
Elemento fondamentale di un paesaggio che fu teatro di avvenimenti umani, pur modesti, sono certamente le vie di comunicazione, le strade.
La "Vicinanza di Ancillate" ebbe due strade importanti.
Una, la più alta, passando per Maggianico, raggiungeva la Valsassina, vallata popolosa sin dall'epoca preromana dove si trovano miniere di ferro spatico, che abbondano particolarmente in Val Varrone.
Le popolazioni Galliche, di cui si rinvennero numerose testimonianze archeologiche in tutta la Valsassina,(3) erano abili forgiatori del ferro per cui l'industria dei manufatti di questo prezioso metallo fu fiorente in tutto il lecchese anche nell'età romana, nell'età medievale e nell'epoca moderna.
L' altra strada passa per Barco seguendo l'andamento della riva lacustre e raggiunge Bergamo dopo circa trenta chilometri.
Prima che fosse costruito il celebre ponte di Azzone(anno 1335) che congiunge il territorio di Lecco col milanese, questa era l'unica strada anche per Milano sia attraverso al ponte romano di Olginate fin che non venne distrutto,(4) sia più in basso attraverso il ponte sull'Adda di .........
Bisogna pure ricordare che l'importanza economica di questa strada nel passato era determinata dal fatto che molto intensi erano i rapporti commerciali del lecchese con le zone di Bergamo e di Brescia, sia per il transito verso il nord, sia per il trasporto del minerale di ferro e del ferro grezzo che proveniva dalle fucine delle valli bergamasche e bresciane.(5)
Questi accenni alle strade che solcavano il territorio di Maggianico e specialmente a quella per Bergamo che anche ai nostri giorni appare sempre più congestionata dal passaggio delle veloci vetture, ci fanno capire che gli abitanti delle tre località formanti la "Vicinanza di Ancillate", per quanto esigui di numero, non si trovavano racchiusi in una regione remota e costretti a vivere una vita stagnante per l'isolamento dal resto delle popolazioni, ma erano invece continuamente in contatto con il progressivo sviluppo dell'ampia costiera.
E' questo il complesso aspetto del paesaggio dove una piccola comunità nel volger dei secoli, intessé pazientemente la semplice storia delle sue vicende ora tristi ora liete.
E' questo il bel paesaggio di un lembo dell' "ampia costiera" accarezzata dal Tivano mattiniero che porta la frescura del monte o della Breva che spira dal mezzogiorno portando il sapore umido del lago; quel lago talvolta calmo come specchio, talvolta increspato dalla brezza, talvolta rabbioso e malfido quando la Rumata soffia improvvisamente sconvolgendo le onde come genio malefico e costringendo i trepidi naviganti a riparare in qualche porto per sfuggire alle insidie dei gorghi.


NOTE AL I° CAPITOLO
l) - Manzoni Promessi Sposi, cap. I°
2) - cfr. C. Della Valle - Lecco ed il suo territorio - Roma Soc. Geogr. Ital. - 1954
3) - Per le indicazioni dei rinvenimenti archeologici vedi il prossimo secondo cap.
4) - c.s.
5) - cfr. C. Della Valle s.c. - C. Andrea Luigi Apostolo - Lecco ed il suo territorio - Lecco 1855; Lecco e dintorni - Guida illustrata e descrittiva - A cura della Società "Pro Lecco" - Lecco 1893

CAPITOLO II°
La vicinanza di Ancillate

Nell'ambito del territorio di Maggianico non si è ancora verificato qualche rinvenimento archeologico che ci dia una testimonianza certa dell'esistenza di abitanti nella età romana o nell'età gallica o addirittura di qualche lontana età preistorica.
Questa costatazione negativa non esclude naturalmente che in futuro si verifichi qualche interessante rinvenimento durante scavi casuali e sarà merito degli abitanti se gli oggetti non verranno toccati, né tanto meno distrutti oppure dispersi per una malintesa brama di possedere oggetti rari(1).
Ciò si dice perché è probabile che si verifichi in futuro qualche scoperta archeologica sia per le ragioni che esporremo in seguito, sia perché tanto dall'altra sponda del lago che dalla vicina Pescarenico ed in tutta la Valsassina i rinvenimenti dell'età paleocristiana, dell'età romana e dell'età gallica sono abbastanza numerosi e di grande interesse culturale.
L'unica testimonianza che rimane delle più lontane età della storia di Maggianico è l'enigmatico nome di Ancillate.
Il più antico documento che ricordi Ancillate è del 1563(Marzo 10) il quale dice testualmente così: Legatorum nota extracta a libro extimi. Ego notarius infrascriptus attestur et fidem facio sicuti in libro extimi et descriptionis bonorum vicinorum et hominum loci de Barcho et Missirano ao Mazanico, vicinantiae de Anzilate, ecc. cioé: Nota dei legati estratta dal libro dell'estimo. Io notaio infrascritto attesto e faccio fede come nel luogo dell'estimo e della descrizione dei beni dei vicini e degli uomini di Barco, Missirano e Maggianico, della Vicinanza di Ancillate, ecc.
Si tratta adunque della dichiarazione di un notaio che con esattezza elenca i legati, cioé le rendite dei beni legate ad uno scopo pio, come S. Messe ed elemosine, dei quali legati, elencati e descritti secondo le norme fiscali del tempo cioè secondo "l'estimo", erano amministratori ed esecutori i "vicini" e gli "uomini" della Vicinanza di Ancillate.
Con l'espressione "vicini ed uomini", comune a quel tempo ed ancor più nei tempi anteriori, si indicava una collettività che poteva essere costituita in Comune vero e proprio con un territorio ed una autorità (Consoli, podestà, ecc.) od anche una collettività la quale poteva avere talune prerogative (come possedere beni) che la qualificavano come gruppo ben definito anche se incorporato in una più grande collettività comunale, che nel nostro caso era Lecco.
Così Pescarenico, Chiuso, Olate, Germanedo, Acquate e tutte le altre collettività ricordate dagli Statuti di Lecco, erano Vicinanze che facevano parte del Comune di Lecco.
La Vicinanza o Vicinia, che secondo l'etimologia del nome era costituita dai "Vicini" o abitanti del Vicus (villaggio) ebbe forme svariatissime, ma nella campagna si rivela molto frequentemente come una istituzione di origine preromana.
Ed il caso di Ancillate é veramente tipico e di grande interesse storico.
Anche quando l'originario significato della Vicinanza era da tempo dimenticato, rimase il nome ad indicare non una località, non un territorio comunale e neppure una circoscrizione parrocchiale, ma una piccola collettività la cui formazione risaliva all'età dei Galli che facevano del vicus una unità politico-amministrativo-religiosa componente la più vasta comunità del pagus(3).
Come é noto i Romani non distrussero gli ordinamenti delle popolazioni galliche dalla Transpadana, solo tolsero loro ogni carattere politico e militare, lasciando quello amministrativo-religioso, che verrà poi, per lo più, continuato dal sistema gerarchico della Chiesa la quale farà del pagus la Pieve, cioè il centro d'irradiazione della nuova Fede nella campagna e per alcuni secoli centro dell'ordinamento della vita religiosa perché solo nella chiesa plebana si teneva il Fonte battesimale, si amministravano i Sacramenti e vivevano collegialmente i sacerdoti i quali si recavano nelle chiesette dei vici, quando esistevano, a celebrare la S. Messa nei giorni festivi, a compiere le Processioni delle Litanie, ad assistere gli infermi.(4)
Più tardi, dopo il sec.XI nel milanese, cominciarono ad enuclearsi dalla Pieve le Parrocchie, dipendenti ma giuridicamente sempre più nettamente distinte dalla Pieve.
E Maggianico rappresenterà, anche sotto questo aspetto dell'ordinamento religioso, un tardivo ed interessante esempio di una Parrocchia che si forma staccandosi dalla Pieve al tempo di San Carlo, proprio per volere della Vicinanza di Ancillate.
Adunque la persistenza tenace della denominazione di "Vicinanza di Ancillate" si riporta a forme di vita sociale preromana di cui il termine Ancillate, di significato a noi ignoto ma dalla terminazione in -ate, consueta dei toponimi gallo-romani, sarebbe il prezioso ricordo(5).
Nel vicus di Ancillate tre toponimi, in epoca diversa, denotarono il modesto agglomerarsi di tre distinti nuclei di abitanti. Missirano é forma comune dei toponimi di origine romana; così pure Maggianico, da un probabile nome personale Magius (come Maggio, Maggiana) col suffisso -anicus; le due località si denominarono probabilmente dal nome del possessore.
Ben diverso é il caso di Barco che appartiehe al gruppo dei nomi preromani, come Barro, Lecco, Lario, Adda. Sulla Grigna due luoghi sono chiamati rispettivamente Barech e Barrego e, secondo l'Olivieri, deriverebbero, come Barco, dalla voce lombarda Barch, che significa tettoia(6).
Del tutto inverosimile è la derivazione del nome Barco da un supposto luogo per imbarcarsi sia per quanto si é detto, sia perché non é Barco il luogo più vicino al lago, ma bensì si trova, come Missirano, col suo nucleo antico al di là della strada, verso il monte e non verso il lago; solo in età molto recente si costruirono numerose villette lungo la ferrovia che costeggia il lago.
Evidentemente tutto quanto si é detto della "Vicinanza di Ancillate" è solo il valore di un'ipotesi ben fondata che fortunate scoperte archeologiche potrebbero trasformare in tesi sicura.
Era logico inoltre il formarsi di piccoli gruppi di abitanti in località che se non offrivano grandi possibilità agricole si trovavano tuttavia in posizione di comodo accesso per essere lungo un'antica strada che metteva in comunicazione col Bergamasco, con Milano e, sin dall'epoca romana, con la Brianza, attraverso il ponte romano di Olginate(7).
Nulla sappiamo della vita di questi piccoli nuclei di abitanti durante tutto il Medioevo.
Non sappiamo come andò trasformandosi la proprietà terriera durante la probabile permanenza dei Bizantini al castello di Lecco o durante la dominazione dei Longobardi o durante l'affermarsi dei feudatari conti di Lecco con la dominazione franca.
Permane un ricordo probabile della circoscrizione giudiziale dei Longobardi nel nome di una località del territorio di Maggianico chiamata Gagianico.
Al principio del secolo XVII viene ricordato da documenti religiosi l'oratorio campestre di S. Maria di Gagianico(8) piuttosto cadente ed allora considerato nei territorio della parrocchia di Maggianico; una località di questo nome é ricordata dagli statuti di Lecco ed esiste ancora tra Belledo e Maggianico.
Nell'Editto di Rotari, re Longobardo che regnò dal 636 al 652, si parla del Gaggio regio cioé di una foresta(gehage) cintata per impedire agli animali di danneggiare i campi coltivati e considerata come ricca riserva di caccia(9).
Gaggianico sarebbe stato così chiamato dall'età longobarda e ciò dimostrerebbe anche che gli antichi proprietari romani dovettero cedere lo loro proprietà terriere ai nuovi dominatori.
Quando terminò la dominazione longobarda e si costituì il Sacro Romano Impero con il franco Carlo Magno, l'Arcivescovo assunse un ruolo molto importante nella vita pubblica.
L'Imperatore aveva stabilito di eleggere due Messi Imperiali o Missi Dominici incaricati di controllare la esecuzione delle leggi da lui emanate; uno dei Messi imperiali doveva essere un ecclesiastico e con Carlo il Grosso, il missaticum ecclesiastico si identificò col vescovo della diocesi. Da ciò la grande potenza politica del vescovo che associata a quella religiosa diventò causa dell'immenso accrescimento dei beni le cui rendite servivano al vescovo per dotare monasteri, per le opere assistenziali e per talune opere pubbliche, specie quelle per la difesa.
Fertili plaghe del milanese vennero in possesso dell'Arcivescovo di Milano; dai confini con Pavia, lungo il Ticino, sino a Varese e sino a Lecco un gran numero di terre divennero proprietà del potente Arcivescovo di Milano(10).
In quei possedimenti, quasi a porre un segno visibile del possessore, si costruirono chiesette dedicate a S. Ambrogio, in località per lo più campestri.(11)
Nel territorio di Maggianico sorgeva ancora, per quanto dissacrata, nella seconda metà del secolo scorso, una chiesetta dedicata a S. Ambrogio e fu un grave errore non aver conservato questa chiesetta, monumento insigne per la sua architettura, per le pitture di cui era decorata e per il ricordo storico che era legato ad essa.
Chi ancora vide la chiesetta poco prima della sua distruzione, la descrisse così: "Raccomandasi pure all'attenzione del forastiero la chiesetta della frazione detta S. Ambrogio, rosso edificio, oggidì convertito in ricetto di arnesi rurali decorato all'interno ed all'esterno di grandi dipinti a fresco, che rammentano l'infanzia della pittura.
Sul fondo grigiastro della parete esterna meridionale si scorge ancora, sebbene qua e là scalcinata, l'effige di un vescovo. Lo stendardo bianco recante una croce rossa che si vede accanto a quella figura sarebbe probabilmente lo stemma di Milano ed indicherebbe perciò essere quella l'immagine di S. Ambrogio. Sebbene non consti veruna positiva notizia circa l'origine della chiesetta, essa risale senza dubbio a bassi tempi, cioè al secolo XI.... Sorgono presso quella chiesa pochi casolari pur essi antichissimi. La campagna sulla quale giace quella vecchia frazione chiamasi Villatico.(12)
Non é possibile garantire l'esattezza delle date indicate da questa relazione, tuttavia é certo che la croce rossa, dello stendardo non riguardava il Comune di Milano, ma bensì la gloriosa confraternita di S. Pietro Martire o dei Crocesignati, di cui si parlerà in seguito.
Nel 1566 S. Carlo visitò questa chiesetta e vi trovò un legato per Sante Messe che venivano celebrate da un Cappellano di Lecco, sul reddito di trenta pertiche di terra attigua alla chiesa, legato che era stato fondato nel 1494. S. Carlo constatò che il tetto della chiesa aveva bisogno di restauri e quando nel 1608 venne visitata dal card. Federico Borromeo, egli raccomandò i restauri più urgenti, affinché non avesse da crollare(ne ruat!)(13)
Queste notizie confermano l'antica data di costruzione della chiesetta di Sant'Ambrogio.
Gli Statuti della Comunità di Lecco distinguono nettamente gli abitanti del "borgo" dai castellani cioè dagli abitanti del contado di Lecco raggruppati nelle Vicinanze che erano sottoposti all'onere della Castellanza(14).
Questa distinzione ebbe origine al tempo della dominazione arcivescovile.
Il castrum o castello di Lecco risale ad epoca molto lontana; probabilmente è dell'età romana o forse anche di età bizantina; certamente esisteva al tempo della dominazione longobarda.
Al principio del sec. X l'Italia venne afflitta da frequenti scorrerie di Ungheri i quali nel 924, passando per il bergamasco ed il cremonese, giunsero al Ticino e a Pavia, che devastarono orribilmente. Entrati poi in Lomellina, presero Vigevano e proseguirono per Piacenza giungendo fino a Roma(15).
L'imperatore Berengario I° indebolito dalle lotte politiche, non poteva fronteggiare efficacemente la grave situazione creatasi e perciò concesse alcuni dei propri diritti a coloro che si assumevano l'onore di fortificare o mantenere ben muniti le città, i borghi, i villaggi e le località che per la loro posizione strategica e soprattutto per la difesa del raccolto dai predoni, si riteneva necessario fortificare. Dovunque sorsero città murate e castelli dove i coloni mettevano al sicuro il raccolto al momento del pericolo e molti vescovi si assunsero l'onere della difesa, acquistando nuovi diritti alla loro crescente potenza.
A Lecco, di cui aveva l'honor ed il districtus prima il conte fuadatario e poi l'arcivescovo di Milano, quale domini loci avvenne naturalmente che le spese delle fortificazioni del borgo venissero distribuite fra i villaggi del contado che circonda Lecco e questo onere chiamato castellanza, fu la causa perché le Vicinanze del territorio di Lecco e quindi anche quella d'Ancillate, si chiamassero castellanze e gli abitanti castellani.
E' molto difficile stabilire con certezza attualmente, a causa delle pochissime notizie pervenuteci, quando il Cristianesimo si diffuse nel lecchese e di conseguenza a Maggianico.
Possiamo fare delle congetture garantite da una buona probabilità.
Se si considerano i patroni a cui sono dedicate le chiese del lecchese, dovremmo concludere che il Cristianesimo in questa regione si diffuse non molto presto; la costruzione poi di gran parte delle chiese dei vici risale non prima dell'età longobarda e franca.
Nel più antico catalogo delle chiese della diocesi milanese (inizio sec. XIV)(16), non si ricorda la chiesetta di S. Andrea nella Vicinanza di Ancillate. Tuttavia per le incertezze e le lacune gravi che si riscontrano in tale antico catalogo e tenendo presente che ben difficilmente la dedicazione ad un santo di una chiesa non é legata a particolari circostanze di tempo, si deve concludere con buona probabilità che la chiesa dedicata all'Apostolo S. Andrea, già sede di una antichissima Confraternita risalente al sec. XIII, sia da considerarsi come una delle più antiche sorte nel lecchese.
Il culto a S. Andrea era cominciato a Milano al tempo di S. Ambrogio, quando, al 9 maggio, di un anno non ben precisato (verso il 386) il grande vescovo ripose le reliquie del santo Apostolo con quelle di Giovanni e di Tomaso, nell'altar maggiore di una nuova basilica, chiamata perciò basilica degli Apostoli ed in seguito di S. Nazaro, perché accolse le reliquie di questo Martire.
Il Liber Notitiae sopra citato ci ricorda, assieme a numerose leggende attorno alla vita ed al martirio di S. Andrea, che ben 35 chiese ed altri 25 altari erano ai suoi tempi dedicati a S. Andrea.
Questo attesta della diffusione del culto al santo Apostolo, fratello di S. Pietro; bisogna inoltre notare che le chiese dedicate a S. Andrea sorgevano tutte, eccetto quelle di Milano, in piccoli paesi e spesso in luoghi campestri(17).
Si può dedurre che alla prima diffusione del cristianesimo nelle campagne che portò alla fondazione nei centri più importanti di chiese dedicate a taluni martiri come S. Vittore, S. Gervaso e Protaso, SS. Pietro e Paolo, S. Stefano ecc.(18) seguirono nell'età che precedette l'invasione od anche la conversione dei Longobardi altre avanzate del Cristianesimo che raggiunse talune località meno popolose e che, seguendo il gusto del tempo determinato dall'esempio di Milano, portò alla fondazione di numerose chiese dedicate anche all'Apostolo S. Andrea, fratello di S. Pietro e ricordato nell'antico elenco del Canone ambrosiano della S. Messa, al terzo posto, dopo Pietro e Paolo.
Avvenuta la conversione in massa degli ariani e barbari Longobardi al cattolicesimo e dopo il trionfo dei Franchi, la diocesi milanese vide sorgere numerosissime chiese in centri popolosi o località campestri, dedicate per lo più a S. Michele, a S. Giorgio, a S. Pietro, a S. Martino; ma la chiesa di S. Andrea a Maggianico (non l'attuale che venne costruita nel sec. XVII) che S. Carlo trovò "satis congrua" (19) cioè ben messa per quanto mantenesse l'aspetto antico della sua architettura con le capriate a vista e non col soffitto come invece volle il santo arcivescovo, é una preziosa testimonianza del lento e faticoso cammino compiuto dal cristianesimo per raggiungere le piccole comunità delle "Vicinanze" lecchesi e portar loro la buona novella.


NOTE AL II° CAPITOLO
(l) - Se in questi casi si avverte in tempo l'autorità competente si compie opera di vero civismo e si favorisce l'indagine scientifica che deve iniziare - per dare buoni frutti - dallo studio del terreno e del modo in cui gli oggetti si trovano interrati.
(2) - Arch. Spir. della Curia Arc. Milano - Visite Pastorali - Lecco - vol. III q.2; al vol.9 q.1 della stessa raccolta vi é la copia dell'istrumento della costituzione della parrocchia di S. Andrea di Maggianico fatta da S. Carlo nel 1567; anche in questo doc. stillato naturalmente con precisione legale, si dice chiaramente "coram prelibata dominatione sua (cioè S. Carlo) adparuerint vicini et homines dictae vicinantiae de Ancillate, ecc. Talvolta in documenti privati si trova: S. Andrea de Ancillate seu Magianici, ma evidentemente l'espressione serviva a precisare praticamente la località in cui si trovava la chiesa di S. Andrea non ad indicare l'esistenza di un più antico nome di Maggianico, come taluni purtroppo hanno fatto, considerando superficialmente l'espressione.
(3) - cfr. Storia di Milano - Milano 1955 vol. I° pag. 165, articolo di A. Passerini, G. Mengozzi La città italiana nell'alto medioevo II ed. Firenze 1931; G.P. Bognetti Sulle origini dei Comuni rurali nel Medioevo Pavia 1927
(4) - cfr. A.Palestra Pieve, Canonici e Parrocchia nelle pergamene morimondesi in "Ambrosius" anno 1956 fasc.III, pag.141
(5) - D.Olivieri Dizionario di Toponomastica lombarda Milano 1931
(6) - c.s.
(7) - Sul ponte romano di Olginate vedi: Riv. Arch. di Como, fasc.127 (anno 1946) pag. 5 segg.
(8) - Arch. Spir. Curia Arc. Milano - Lecco - vol.23 - Visita fatta nel 1603 dal card. Federico Borromeo
(9) - cfr. G.P. Bognetti Sulle orig. ecc. s.c. pag.106 nota 4 e G.P.Bognetti in Storia di Milano s.c. vol. II pag.87
(10)- cfr. G.Zanetti Il Comune di Milano dalla genesi al Consolato - Milano 1935 pag. 11-17 - Due documenti interessanti uno del 879 e l'altro del 931 ci offrono una preziosa notizia della proprietà terriera dell'Arcivescovo di Milano nel lecchese. 879 Settembre 10 - Ansperti archiepiscopi Mediolanensis testamentum, quo xenodochium in vivitate constituit atque illud tradit monasterio sancti Ambrosii, distributiones ibi faciendas praescribens. ".......Insuper et habeat et in ipso sancto senodochio pertineat a presenti die obitus mei olivetum illud iuris mei, quod habere visus sum in loco et fundo Leuco prope lacum....." In questo documento si ha la notizia della coltivazione dell'ulivo, da cui traevasi il condimento tanto usato dai romani ed anche uno dei farmaci principali della medicina antica. Nel doc. del 931 l'Arcivescovo di Milano dona alla chiesa maggiore di Milano alcuni beni Situati a Mandello. Vedi: Hist. Patriae Monum. Torino 1873 T.XIII - Codex diplom. Lang. col.485 e Giulini Memorie ecc. anno 931
(11)- cfr. A.Palestra Storia di Abbiategrasso Abb. 1956 pag. 36-37
(12)- C.A.L. Apostolo - Lecco e il suo territorio pag.9-10
(13)- Arch. Curia Arc. Milan. Visite past. Lecco vol. XIV q.7
(14)- Statuta civilia et Statuta criminalia Comunitatis Leuci - Milano 1592, "De centum consiliariis elligendis - Centum homines de Leuco quorum nomina inferius decripta sunt, sint et esse intelligantur et debeant Consilium et veri Consiliarii Communis Leuci. Medietas quorum sint Burgenses et alia medietas sint Castellani Leuci...." (pag.34) Intorno a questi importanti Statuta manca uno studio critico esauriente.
(15)- cfr. E.Galli Corso di Storia milanese - Milano 1920 vol.II pag.176
(16)- Liber Notitiae Sanctorum Mediolani - Milano 1917 - Edito a cura di M.Magistretti e di U.Monerret de Villard
(17)- Nessuna chiesa delle Pievi elencata nel Liber Notitiae é dedicata a S. Andrea. Tuttavia se tali chiese si trovano per lo più in località isolate di campagna (eccetto Melzo dove appare più antica di quella di S.Margherita e di S.Paolo) però sono località di antica storia: Casterno, Paderno, Barate, Albignano, Gornate inf., Carugate, Setenago, Biassono, Duno, ecc. Per il culto a S. Andrea nella diocesi di Milano cfr. il Martirologium Hierominianum composto verso la metà del sec.V; a1 9 Maggio dice: Mediolano de ingressu reliquiorum Apostolorum Johannis, Andrea et Thomae in basilicam ad portam romanam. S.Ambrogiò dedicò la Basilica Apostolorum quando avvenne la traslatio delle reliquie, cioé verso il 382.
(18)- Fra le più antiche pievi si hanno: Arcisate, Arsago, Casorate primo, Corbetta, Missaglia, Porlezza, Varese, con chiese plebane dedicate tutte a S. Vittore. Seguono cronologicamente: Agliate, Biasca, Brebia e Mezzate con chiese plebane dedicate ai SS. Pietro e Paolo; Gorgonzola, Parabiago e Seveso con chiesa plebana dedicata ai SS. Gervasio e Protasio. Somma é l'unica forse dedicata a S. Agnese da elencarsi cronologicamente assieme alle suddette. Così pure dicasi per Rosate con chiesa dedicata a S. Stefano. Analogicamente la più antica chiesa di Lecco dovrebbe essere quella dei SS. Gervasio e Protaso di Castello; non certamente S. Nicolao il cui culto è giunto a noi tardivamente.
(19)- Vedi sopra Nota 2

(Aggiunta alla nota N° 1)- A riprova di quanto si afferma qui e di quanto si dirà più innanzi dei frequenti ritrovamenti archeologici, dò l'elenco di tali ritrovamenti desunto dal ben compilato schedario della Soprintendenza alle Antichità della Lombardia. Non si può dire che da tale elenco si abbia notizia di tutto quanto é stato ritrovato. Occorrerebbe avere anche un inventario degli oggetti esposti al Museo di Lecco ed al Museo di Como, con segnata naturalmente la località di provenienza di tali oggetti. Anche per l'archeologia lecchese manca uno studio sul materiale rinvenuto. Benemerita in questo campo é veramente la Rivista Arch. Comense. Conosco solo una indicazione bibliografica, compilata però senza disanima critica delle opere elencate: R.Colombo Un po' di bibliografia archeologica di Lecco nella rivista "Paesi manzoniani" anno 1934 nr. 3,5.

Divido l'elenco dei ritrovamenti in tre categorie.

Età gallica-
Olate a.1952; Fibula di bronzo a sanguisuga; Ruota dentata in bronzo
Acquate a.1915; Tre tombe galliche
Barzio a.1905; Tomba gallica con oggetti in ferro e fittili
a.1931-32; Tombe galliche con vasi, spade, punte di lance, cesoie ed altri frammenti vari
Vimogno a.1915;Tombe galliche
Pasturo a.1886; Tombe galliche
Casargo a.1883; Tombe galliche con spada del tipo La Thène.
Introbbio a.1886; Tomba gallica con fibula a sanguisuga
a.1883; In piazza Cavour, Tombe galliche
a.1918; Tomba gallica in località Malaveda
Esino Lario a.1858 - Tombe galliche
a.1885 - Tombe galliche

Età romana
Olginate a.1945 Ponte Romano; cfr.Riv. Arch, Como a.1946
Pescarenico a.1941; Due tombe romane alla capuccina col solito corredo
Valmadrera a.1935 Tomba romana
Cabaglio di Lecco a.1925 - Ripostiglio di monete romane dell'età imperiale.

Età paleocristiana
Primaluna(Cortabbio) a.1888 - Lapide cristiana
Garlate a.1903 - Due lapidi cristiane

CAPITOLO III°
Il Castellaccio, la Torre vecchia ed i Crocesignati

Il territorio di Maggianico, come già si è accennato, è sempre stato parte integrante della comunità di Lecco.
E questo anche al tempo dei grandi feudatari, i conti di Lecco, dei quali il più autorevole rappresentante fu Attone, di origine franca e fortunato guerriero, durante l'impero di Ottone I° ed Ottone II°.
Subentrò poi la crescente autorità politica dell'Arcivescovo di Milano, in contrasto oon l'autorità imperiale e coi grandi feudatari, per cui si facilitò il sorgere di forme nuove di ordinamento sociale, i Comuni.
Col perfezionarsi delle istituzioni comunali si dovevano verificare necessariamente dei contrasti con l'Arcivescovo.
Nel 1073, per esempio, il contado di Lecco solidale coi Milanesi, si rifiuta di riconoscere l'arcivescovo Gotofredo col pretesto che era simoniaco; il rifiuto provocò la reazione armata dell'Arcivescovo che tuttavia ebbe la peggio(1).
Alla venuta del Barbarossa poiché nel Comune di Lecco si era già andato manifestando la tendenza di emanciparsi da Milano comunale e non solo arcivescovile, si ebbe come risultato che Lecco ottenne favori e franchigie dall'imperatore e fu riconosciuto capoluogo di uno dei contadi creati dal Barbarossa(2).
La pace di Costanza(1185) che pose fine alla lotta tra i Comuni della Lega lombarda e l'Imperatore, portò un grave colpo alle mire indipendentistiche di Lecco. Il suo contado come il suo Comune fu totalmente assoggettato al Comune di Milano più che mai desideroso di potenza e di espansione territoriale.
Tuttavia a Lecco il movimento separatista non si dette per vinto e sfruttò ogni buona occasione per ribellarsi ai Milanesi.
Verso la metà del secolo XIII Milano stroncò energicamente tale movimento, che come vedremo aveva favorito taluni correnti ereticali pullulanti un po' dovunque in quei tempi nella travagliata regione Lombarda.
Nel 1250 un esercito milanese, secondo taluni storici "rase dalle fondamenta" il borgo murato di Lecco(3); evidentemente l'espressione é esagerata, ma é certo che Lecco dovette molto soffrire per la brutale repressione se un documento del 1253 ci dice che al 31 maggio di quell'anno i Consoli di Lecco convocati con altri membri del Consiglio e con alcuni uomini della comunità, nella chiesa di San Nicolao, "proclamano e dicono che sono pronti ad obbedire agli ordini della Santa Chiesa e del Signor Arcivescovo e del Signor Podestà e del Comune di Milano; che sono pronti ad osservare quanto essi dispongono a riguardo della persone e delle cose, perciò petunt misericordiam ne ulterius flagellentuer" cioé chiedono misericordia per non essere più oltre castigati(4).
In questo clima di ostinato separatismo e di feroce repressione, oltre alle correnti ereticali nel lecchese si consolidò la corrente politica capeggiata dai Torriani, la nobile famiglia che a lungo contese la supremazia ai Visconti, i quali riuscirono alla fine vincitori grazie alla potenza politica dell'Arcivescovo nel Comune di Milano e precisamente grazie a due arcivescovi della Casata dei Visconti, Ottone (battaglia di Desio, anno 1277) e Giovanni, che invero furono coadiuvati da abili uomini politici della stessa casata come Matteo, pronipote dell'Arcivescovo Ottone, nominato Capitano del Popolo; Galeazzo II e Barnabò, nipoti dell'Arcivescovo Giovanni; ed infine Gian Galeazzo, figlio di Galeazzo II, che succedendo al padre nel 1378, fu uno dei più grandi artefici della potenza viscontea.
La lotta fra Torriani e Visconti durò a lungo e con alterna fortuna.
Nel 1296 Lecco, ancora una volta ribelle, venne presa dopo disperato assedio da Zanazio Salimbeni, comandante delle truppe viscontee e distrutta; gli abitanti rimasti vennero trasferiti a Valmadrera e tutto il contado devastato(5).
Naturalmente appena i Torriani si riebbero dalla sfortuna, Lecco fu riedificata e l'opposizione riaccesa.
Era necessario ricordare brevemente questi fatti per comprendere il significato del più antico documento che menziona Maggianico, documento ohe risale al 1314.
Era allora Arcivescovo di Milano Cassone della Torre il quale numerando tutti i torti ricevuti dalla fazione avversa dei Visconti, lanciò contro Matteo Visconti la scomunica: "... voi altri rettori di Milan ... ci assaliste a mano armata nella casa di Filippo da Vaprio in Porta Orientale, dove abitavamo allora colla nostra famiglia e ci tendeste pestifere insidie... per cui subito dovemmo abbandonare la città e la chiesa ed esulare per avere salva la vita... Voi ci avete perseguitato anche nel castello di Cassano d'Adda, tendendoci insidie ed occupando il nostro ponte... perciò non vedendo modo di sicurezza abbiamo abbandonato anche quel castello, potendo a stento ritirerei nella città di Cremona... Mulo di Groppello occupò il luogo e la terra di Cassano, appartenenti a noi ed alla chiesa milanese... così pure Cassone Crivelli e suo figlio usurparono molti luoghi nostri sul litorale di Lecco e sui nostri monti e quei della chiesa, ciò sono Dervio, Maggianico, Gessano, Bellano e Varenna; ... Tacciolo Pusterla col tuo consiglio, o Matteo, predò la Valsassina e Taleggio, di ragione arcivescovile, e tu Matteo Visconti, occupasti Lecco, Bellano, Valsassina, Cassano, Treviglio, Bobio e le terre fra Varese e Basano, il posto della valle di Marchirolo e le pescaie del lago di Pusiano.... Per questi ed altri delitti intimiamo a te, Matteo Visconti, ed agli altri soprannominati ... una perpetua scomunica privandovi d'ogni commercio umano, della sepoltura ecclesiastica e dell'uso dei Sacramenti"(6).
Questo documento é molto importante perché conferma pienamente quanto abbiamo detto sulle vicende di Maggianico nei secoli precedenti e sull'importanza che il suo territorio aveva nello scacchiere della dominazione arcivescovile.
Nel 1335, dopo quarant'anni di ribellione, Lecco venne definitivamente sottomessa da Azzone Visconti, Vicario Imperiale, che era riuscito pure ad avere la signoria di Como, essendo fuggito a Bellinzona Franchino Busca il quale aveva la signoria di Como.
Segno possente della sua definitiva sottomissione al biscione visconteo fu il celebre ponte di Azzone sull'Adda, munito di due torri vigilate da forze militari a monito severo contro gli irrequieti borghigiani (17).
Fu durante il periodo comunale che Lecco si diede i suoi Statuti i quali ci fanno conoscere come il suo territorio giungesse sino a Chiuso dove vi era il Dazio per chi transitava; ci dicono pure gli Statuti che anche i massari di Maggianico dovevano pagare il "Datium Mercedriarum" quando portavano a Lecco i loro prodotti per venderli. Infine, come già si è accennato parlando della Castellanza, siamo informati che la Comunità di Lecco era governata da un Gran Consiglio di 100 membri che eleggevano il Piccolo Consiglio di 24 persone.
Del Gran Consiglio 50 membri erano scelti fra gli abitanti fuori del borgo, di modo che tutte le Comunità minori avessero nel Gran Consiglio i loro rappresentanti.
In una relazione sullo status, cioè condizione, della parrocchia di Maggianico, inviata nel 1573 dal prevosto di Lecco a San Carlo, si legge che nella chiesa di S. Andrea oltre alla Confraternita del SS. Sacramento vi erano quelle della B. Vergine Maria e di S. Pietro Martire. Non potevano esibire alcun documento per la loro erezione canonica e neppure avevano una regola scritta.
Malgrado ciò non vi è alcun dubbio che la Scuola di S. Pietro Martire di Maggianico si ricolleghi col vasto movimento politico del lecchese nell'età comunale e con i movimenti ereticali che accompagnarono quelli politici.
Se la Scuola di S. Pietro Martire di Maggianico non aveva una regola scritta, è certo tuttavia che essa seguisse una regola simile a quella della Scuola di S. Pietro M. di Laorca, che fortunatamente possediamo ancora nel suo testo originale.
Abbiamo già accennato che durante i secoli XII e XIII in Lombardia fermentarono numerosi movimenti ereticali che facilmente, come avveniva altrove (p.e. a Roma con Arnaldo da Brescia) trovavano un terreno adatto ed un appoggio formidabile nella tumultuosa vita politica ed anche nelle condizioni economico-sociali che qualificarono il rapido trasformarsi delle istituzioni medievali.
La reazione popolare veniva naturalmente alimentata dalla grande fama di talune forti personalità ohe talvolta suggellarono col martirio la loro attività in difesa della Fede; intendo alludere ad Arialdo, Erlembaldo, S. Bernardo da Chiaravalle, Pietro da Verona e Pagano da Lecco.
Conserviamo ancora numerose prove documentarie le quali ci attestano che la lotta contro le eresie non fu sostenuta solo dal Tribunale dell'Inquisizione ma fu fiancheggiata spontaneamente e validamente da movimenti religiosi che se si opponevano all'eresia talvolta perfino con le armi sopratutto miravano a far rivivere la Fede e lo spirito cristiano mediante una più intensa vita di pietà.
Tra questi documenti è la citata Regola della Scuola o Confraternita di San Pietro Martire di Laorca che doveva essere comune anche alle altre Scuole di San Pietro Martire che troviamo in talune località lecchesi, cioè a Germanedo, ad Olate, a Lecco stesso nella chiesa di san Nicolao ed a Maggianico(8).
A Lecco il movimento ereticale si alleò col movimento di coloro che volevano rendere il Comune indipendente dal dominio di Milano e che, come già si é accennato, era vigoroso sino dai tempi del Barbarossa.
Quanto fossero aspre le lotte fomentate dagli eretici é indicato dall'uccisione di Pietro da Verona, in Brianza nel 1252; dalla tenace lotta condotta sino alla morte da Egidio Torriani di Castelnuovo, valoroso capitano e capo degli eretici della Valsassina; dall'uccisione del frate domenicano del convento di Como, Pagano da Lecco avvenuta nel 1277 in Valtellina, dove gli eretici erano guidati da Corrado Venosta(9).
"Braccio forte dell'Inquisizione, scrive L. Fumi, erano i Crocesignati, congregazione di laici, che si disse sorta nel 1250 per ordine di Innocenzo IV, ma già da prima apparsa. Ne parla pure un decreto del Concilio Lateranense (1215). Si distinsero nelle guerre contro gli Albigesi e fin d'allora ottennero privilegi che godevano già i Crociati in Terrasanta.
Fregiati di una croce di panno sulle vesti, aiutavano l'opera dei Domenicani e dei Minori contro gli eretici. Innocenzo IV aiutò i Domenicani a predicare la "croce" e conferì il carattere di crocesignati a quanti, tocchi dallo zelo della fede, assunto il signum crucis si adoperassero allo sterminio delle sette. I privilegi loro conferiti consistevano nella concessione d'assoluzione d'interdetti (e di partecipare) alle stesse Indulgenze concesse ai Cacciati. Con la Costituzione apostolica che comincia "Malitia" ne ebbero la conferma più solennemente. Si estesero le grazie al condono di tutte le Censure, anche se fossero stati seguaqi di Federico II° Imperatore e del figlio Corrado, ma non se avessero seguito Ezzelino da Romano e Uberto Pallavicino, i maggiori ribelli di Lombardia.
Pio V con la Costituzione "Sacrosantae" pose il suo suggello alle grazie ed ai privilegi tutti. In ogni luogo dove l'Inquisizione piantò le sue tende, adagiò anche questa schiera di Cavalieri di Cristo, che, regolata da statuti, è però disciplinata e forte come una piccola falange agguerrita(14).
Conosciamo la Confraternita dei Crocesignati di Pavia e quella di Vigevano che fioriva accanto al Convento dei Domenicani di san Pietro Martire, eretto nel 1446; di questa Confraternita vigevanese esiste ancora la Regola in un manoscritto dello stesso secolo XV(11).
A Milano sappiamo da un documento del 1255 che fioriva una Confraternita di Crocesignati, in quella chiesa dei Domenicani dedicata a S. Eustorgio, dove per venerare degnamente il glorioso corpo del martire Pietro da Verona, venne poi edificato un superbo mausoleo (12).
Questi cenni fanno comprendere quanto vasto sia stato il movimento dei Crocesignati lombardi.
Nell'Archivio spirituale della Curia Arcivescovile di Milano si conservano le Regole scritte di due Confraternite di S. Pietro Martire: quella che esisteva nella chiesa di S. Giulio della Pieve delle Tre Valli e quella che esisteva a Laorca nella Pieve di Lecco.
La Regola di Laorca è preceduta dalla trascrizione della Bolla "Malitia" del 1254 di Innocenzo IV, inviata ai domenicani che lottavano contro gli eretici in Lombardia.
Il libretto pergamenaceo della Regola con la Bolla venne redatto nel 1482, ma la Regola stessa scritta in lingua volgare, almeno nella sua parte essenziale, ci testimonia della fervida partecipazione del popolo nella lotta contro le eresie, nel lecchese, durante i secoli XIII e XIV.
L'avere infatti una Regola propria scritta, rappresentò quasi una tardiva prerogativa di talune di queste Confraternite tanto che alla venuta di S.Carlo, la maggior parte di esse dichiarò all'oculata indagine del grande visitatore, di non aver mai posseduto una Regola scritta.
Dalla Regola di Laorca si rileva il carattere militaresco della Confraternita sia per la somiglianza con le schiere dei Crociati che per il giuramento richiesto agli ascritti.
Scopo della Confraternita era la difesa della "fede catholica", della "ecclesiastica libertate" e del "offitio de la Inquisizione", ma gli ascritti dovevano praticare la concordia ed aiutare con opere di carità i confratelli poveri.
Non manca la preghiera collettiva pei confratelli defunti ma sopratutto viene richiesto agli aderenti una moralità severa nella vita, prima ancora di compiere una qualsiasi attività contro l'eresia. Le opere di pietà imposte sono discrete e adatte ad una popolazione campagnola rozza ed analfabeta; esse mirano a far vivere le anime in istato di Grazia per mezzo dei Sacramenti e delle più semplici forme della preghiera cristiana.
E qui si rivela il valore peculiare di questi movimenti popolari che fecero fiorire uno spirito di vero apostolato nel mondo medievale continuando e sviluppando quel grande movimento religioso succitato nel Medioevo dalle Crociate.
Notevole é pure lo scopo di preservare i fedeli dalle molteplici forme di superstizione che pullularono in quei secoli ed in quelli seguenti in mezzo al popolo minuto.
Proprio del territorio lecchese si è conservata una curiosa raccolta di formule superstiziose "ad sanandas animas et mala repellenda" usate verso la fine del sec. XVI da certe fattucchiere che l'autorità ecclesiastica cercò in ogni modo di estirpare (13).
Nel capitolo precedente abbiamo ricordato la chiesetta di Sant'Ambrogio in Villatico che portava dipinto all'esterno lo stemma della gloriosa Confraternita dei Crocesignati di San Pietro Martire.
Concludiamo la narrazione dei fatti di questo lungo e fortunoso periodo storico ricordando alcuni avvenimenti che più da vicino interessano Maggianico.
Innanzitutto la comparsa nel lecchese del grande condottiero Francesco Bussone conte di Carmagnola che in nome del Duca Filippo Maria Visconti veniva a riprendere Lecco occupata da Loterio Rusca il quale agiva per conto di Pandolfo Malatesta.
Si poneva così fine allo stato di disordine, durante il quale avevano cercato di trar profitto i Veneziani, e che si era creata sotto il dominio dell'inetto Gian Maria Visconti e nei primi anni di faticosa reazione dell'abile Filippo Maria.
Nel 1419 Agosto 28 i Procuratori dei territori di Lecco "de foris" cioè del territorio fuori delle mura del borgo di Lecco, e quindi anche di Maggianico, assieme a quelli di vari luoghi della Valsassina, andarono a Milano e giurarono fedeltà al duca di Milano(14).
L'irriducibile rivalità fra la Serenissima Repubblica ed il Duca di Milano, mantenne in continua agitazione l'ampia costiera di Lecco ohe rappresentava un obiettivo molto importante dopo che i Veneziani ebbero definitivamente annesso Bergamo (anno 1428).
Nel 1426 i Veneziani tentarono di nuovo(l'avevano già tentato dieci anni prima) di occupare il territorio di Lecoo, ma il tentativo fallì presto (15).
Nel 1447 i Veneti fecero un'altra incursione nel lecchese; provenendo da Oggiono occuparono il ponte ma trovarono una resistenza eroica da parte delle truppe viscontee capitanate dal valoroso oomandante Eusebio Crivelli, chiuse nelle fortificazioni del castello e che sostenute dall'ostilità delle popolazioni delle vallate circostanti, costrinsero ancora una volta i Veneziani a ritirarsi sconfitti al di là dei confini(16).
Di quei tempi in cui si frequenti erano le guerre e le ribellioni, rimane il ricordo in due fortificazioni che sorgevano nel territorio di Maggianico e che sono scomparse.
In un documento del secolo XVI si ricorda una località detta "ad castellatium"(17); per castellaccio o castellazzo si intendeva un'opera di fortificazione di modeste proporzioni.
In un documento parrocchiale del 1778 infine si legge che la comunità di Maggianico vendette "la vecchia torre" per essere demolita; il ricavato della vendita servi a "stuccare" la lanterna del nuovo campanile ed a restaurare tanto la chiesa ohe la casa parrocchiale(18).
Il castellaccio di Missirano e la torre vecchia della comunità di Maggianico, distrutti dall'inesorabile mutare degli eventi, fecero scomparire anche il ricordo di tempi in cui il popolo guardava troppo frequentemente con terrore quelle severe mura risuonanti del sinistro rumore delle armi.


NOTE AL III° CAPITOLO
(l) - Arnolfo - Hist. Mediol. libro IV cap. III in R.I.S. t.IV; Arrigoni G. - Notizie storiche della Valsassina Milano 1840 pag. 64
(2) - Sir Raul - De rebus gestis Frederici in R.I.S, t. IV; Arrigoni c.c. pag. 83
(3) - Giulini - Memorie ecc. anno 1230
(4) - Arch. Stato Milano - Fondo perg. Belgioioso - cfr. Arch. Stor. Lomb. anno 1906 pag. 169
(5) - Giulini - anno 1296
(6) - Corio B. - Hist. Med. a.1314; I.Cantù - Le vicende della Brianza e dei paesi circonvicini (Ristampa) Milano 1954 pag.53
(7) - I.Cantù - c.c. pag.63
(8) - Arch. Arc. della Curia di Milano - Visite Past. - Lecco vol.IX
(9) - B. Corio - Hist. Mediol. a. 1252; I. Cantù c.c. pag.61
(10)- L. Fumi - L'Inquisiszione romana e lo stato di Milano - in Arch. Stor. Lomb. anno 1910, pag.5 seg.
(11)- L. Fumi s.c.; F.Pianzola - Vigevano, memorie religiose - Vigevano 1930 pag. 88
(12)- Caffi M. - S.Eustorgio, Iscrizioni e Monumenti - Milano 1841 pag.106-07
(13)- Arch. Spirit. Curia di Milano - Visite Past. - Lecco vol.XI
(14)- Arch. Stor. Lomb. - Contributo alla storia del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti - Anno 1897 pag.71 e 124
(15)- Arrigoni c.c. pag.194
(16)- Diego Sant'Ambrogio - Di una singolare epigrafe in onore di Eusebio Crivelli - Arch. Stor. Lomb. a.1891 pag.688-694
(17)- Arch. Curia Arc. di Milano - Visite Pastorali - Lecco vol.27, Visita fatta nel 1608 dal Card. Federico Borromeo.
(18)- Liber parochialis Sancti Andreae Vicinantiae de Anoillate (Liber chronicus) - Arch. Parr. di Maggianico pag.71 - Nota del 1778 Luglio 5

CAPITOLO IV°
Il secolo di San Carlo

Lodovico il Moro avendo chiamato in Italia il re di Francia Carlo VIII procurò, con la sua malaccorta politica, la propria rovina e quella del suo ducato.
la propria rovina e quella del suo ducato.
Egli mori dopo otto anni di prigionia in Francia(25 Maggio 1508) mentre sull'Italia si scatenava il turbine della guerra per il predominio straniero; il ducato di Milano passò alternativamente in potere dei francesi con Francesco I°, di Massimiliano Sforza, di Carlo V, di Francesco II Sforza e finalmente alla morte di costui(10 Novembre 1535) si iniziò il triste periodo della dominazione spagnuola.
Anche Lecco col suo territorio fu teatro di operazioni belliche, specialmente perché i francesi, pur avendo perduto Milano, mantennero delle truppe nel borgo fortificato sperando di non essere costretti ad abbandonare questo importante caposaldo.
A Lecco poi la guerra si prolungò più a lungo a causa delle imprese clamorose di Gian Giacomo Medici detto il Medeghino che gli Spagnuoli crearono Marchese di Musso e Conte di Lecco(1528).
Ma nel 1532 il Medeghino dopo lotte ed assedi senza fine, rinunciava a Musso a Lecco ed alla Valsassina, accontentandosi del feudo marchinale di Melegnano.
Cosi i Lecchesi per quasi un secolo, sino al celebre passaggio dei Lanzichenecchi, rimasero tranquilli e dediti finalmente alle opere di pace che venivano turbate solo dalle prepotenze dei feudatari e dei signorotti della nobiltà campagnola.
Ed é proprio durante questo periodo di tranquillità che Maggianico per il volere dei suoi abitanti crea il nuovo legame spirituale della Parrocchia, che consacrando gli antichi vincoli sociali della "Vicinanza", dava alla collettività quel saldo fondamento della sua unione che rimane ancor oggi pienamente valido.
La copiosa documentazione ci permette di conoscere con maggior ampiezza di visuale la storia strettamente locale di Maggianico a partire dagli inizi del secolo XVI.
La Vicinanza di Ancillate in questo tempo ci appare particolarmente prosperosa e numerosa.
Primo segno di vitalità a quei tempi era certamente la fondazione di una nuova Confraternita.
Il 17 Ottobre 1510, il Vicario Generale dell'Arcivescovo di Milano Ippolito d'Este, concede la facoltà di edificare nella chiesa di S. Andrea una cappella dedicata alla B. Vergine Maria e concede pure una Indulgenza alla Confraternita della Beata Vergine che era appena sorta.
Dare un'Indulgenza ad un Sodalizio religioso nuovo equivaleva a quei tempi approvarlo e sancirne canonicamente l'erezione.
La Confraternita aveva un Priore ed un Tesoriere; riceveva i nuovi iscritti in adunanza plenaria presente il Cappellano. Gli iscritti avevano l'obbligo di recitare ogni giorno 12 Pater e 12 Ave Maria.
I beni della Scuola servivano per ornare la Cappella e per sovvenire ai poveri; per i Confratelli infermi e per quelli defunti erano pure stabilite speciali preghiere ed opere di misericordia (1).
La Confraternita aveva una Regola scritta che tuttavia noi non possediamo.
Gli abitanti accolsero favorevolmente la nuova associazione religiosa che nel 1569 enumerava 20 inscritti e possedeva considerevoli beni immobili(2).
Evidentemente l'antica Confraternita di San Pietro Martire, che in questo tempo ci appare povera e poco fiorente, non era più adatta a soddisfare i bisogni spirituali dei tempi nuovi.
Una prova veramente eccezionale della vitalità che animava la nuova Confraternita è l'acquisto del polittico luinesco, che con l'altro di Gaudenzio Ferrari, forma il vanto della chiesa parrocchiale di Maggianico.
Per quanto non vi sia una prova documentaria che attesti avere la Confraternita` della B.V. Maria acquistato il polittico, tuttavia non vi può essere dubbio di ciò sia per la coincidenza delle date, sia soprattutto perché la Cappella sin dalla fondazione della Confraternita è sempre stata la "sede" della Confraternita stessa.
E' veramente meraviglioso il fatto che una Confraternita di una comunità tanto piccola, formata da contadini e pastori tutti analfabeti (fatto documentabile) abbia saputo arricchire la propria Cappella con un capolavoro di un grande artista.
Ancor più meraviglioso è il fatto che press'a poco nella stessa epoca la comunità di Maggianico, non sappiamo se per merito specifico di qualche persona o di qualche associazione, abbia acquistato l'altro prezioso polittico dovuto al grande artista di Valduggia Gaudenzio Ferrari.
E' indubitato che questi fatti provino come nei primi anni del secolo XVI la Vicinanza di Ancillate pur essendo una semplice capellania di Lecco priva quindi di un saldo ordinamento parrocchiale, fosse in particolari condizioni di prosperità economica e di fervorosa vita religiosa.
Quando verrà san Carlo a visitare Maggianico troverà un polittico all'altare della Madonna e l'altro all'altare maggiore che era di legno riccamente lavorato ed adornato di statue dipinte come allora frequentemente avveniva.
Né si può pensare che dopo la metà del secolo XVI gli abitanti avessero potuto fare grosse spese perohé subivano le conseguenze di una guerra lunga e disastrosa.
Di questo stato di miseria abbiamo un eloquente documentazione.
Nel 1550 ai 27 di Agosto il sacerdote Falcone Caccia Castiglioni, visitatore venuto a nome del Vicario generale della Diocesi, interrogò il clero della pieve di Lecco sulla situazione religiosa di quelle popolazioni.
A Lecco trovò ancora tante rovine "propter obsidionem et devastationem militum", a causa cioé dell'assedio e delle devastazioni dei soldati.
Interrogato il sacerdote Cristofaro de Isachis che risiedeva a Maggianico in qualità di vice curato, perché il curato era il prevosto di Lecco, rispose: " ne la detta sua giesia non si teni il corpus Domini (cioè non si conserva il Santissimo) perché gli homini sono tanto poveri che non pono (possono) patire tal spesa.
Interrogatus respondit (cioé di nuovo interrogato risponde): che gli sono doi (due) calici cioè uno tutto d'argento e l'altro la coppa solamente et ha dui (due) paramenti uno de veluto rosso e l'altro di damasco bianco et due frusti con quatro camisi.
Interrogatus respondit: che gli detti soi curati (cioè suoi fedeli da lui curati, assistiti) gli danno ora L.100 hora 90 secondo gli piace.
Interrogatus respondit: che lui dice messa ogni giorno nella sua giesia salvo se gli occorre andar a qualchi officio il che occorre da rado.
Interrogatus respondit: che ancor che ne tegna sicur di preente non si ricorda ma pensa che ne la detta sua cura gli siano circa a 140 di Comunioni (cioè che ha l'obbligo di comunicarsi a Pasqua) quali tutti questo anno si sono comunicati.
Interrogatus respondit: che ne la detta giesia gli é questa capella che é adottata (che ha una dote, cioé un reddito) sotto al Medesimo titulo di santo Andrea qual lui officia et na di redito circa £.20 o 50 secondo che va l'anno (cioé secondo il maggior o minor raccolto dell'anno).
Super genralibus ut supra dicens (cioè in generale della situazione religiosa dice) che ha ne la sua giesia certi reliquii quali insieme con altre parole lui scongiura i maleficiati et indemoniati et da doi anni in qua ne ha liberato circa a cento"(3).
L'alta percentuale degli "indemoniati e maleficiati" ci rivela che assieme alla miseria del dopoguerra, le malattie, gli squilibri mentali e le superstizioni rendevano ancor più grama l'esistenza di quei miseri terrazzani.
Per quanto il quadro delle condizioni economiche e sociali di Maggianico alla metà del secolo XVI, prospettato dal buon prete Cristoforo de Isachis sia molto fosco, forse anche intenzionalmente, è certo che in breve tempo nel giro cioè di quindici anni, la situazione ci appare totalmente cambiata.
La Vicinanza di Ancillate constatando il continuo progresso demografico, valutando le proprie possibilità economiche, considerando la crescente necessità di una più assidua ed ordinata assistenza spirituale, unanimemente decise di chiedere all'autorità ecclesiastica di trasformare l'imperfetto sistema della Capellania dipendente da Lecco, in una parrocchia giuridicamente costituita, col suo territorio definito e col beneficio parrocchiale per il sufficiente sostentamento del parroco.
La richiesta debitamente circostanziata venne fatta con moto spontaneo dal popolo di Maggianico in seguito alla prima visita pastorale compiuta da San Carlo nel 1566; questo movimento spontaneo dal punto di vista storico è assai interessante perché rappresenta il trasformarsi in forme nuove degli antichi legami di solidarietà sociali di quella "Vicinanza" la cui origine si perde nei tempi più lontani.
Il documento della separazione della cura di S. Andrea dalla cura della prepositurale di Lecco, porta la data del 12 Novembre 1567 e venne redatto naturalmente in lingua latina.
Trascrivo traducendola la parte più importante del documento.
"Nel nome del Signore. Nell'anno della Natività sua millesimo cinquecentesimo sessantesimo settimo, all'undecime Indizione, nel giorno di mercoledì dodicesimo del mese di Novembre, durante l'anno secondo del pontificato del Signor nostro, per divina Provvidenza, Papa Pio quinto.
Visitando l'Illustrissimo e Reverendissimo il Signor Carlo cardinale Borromeo, arcivescovo di Milano, la chiesa di S. Andrea di Ancillate, membro della parrocchia prepositurale di Lecco, davanti alla predetta sua autorità apparvero i vicini e gli uomini della detta Vicinanza di Ancillate e gli esposero quanto segue, cioè: La loro chiesa (di S. Andrea) é una cappella adibita alla cura d'anime dove continuamente risiede un cappellano eletto dagli stessi vicini e che celebra la S. Messa. Tuttavia i Sacramenti sono amministrati dal prevosto di Lecco o da un suo rappresentante (locumtenentem) o da un qualsiasi sacerdote che ne abbia avuto facoltà dal prevosto; ma poiché la prepositura dista da Ancillate quasi un miglio e mezzo e tra le due località scorrono due torrenti, cioé il Belione ed il Caldone, quando piove così si ingrossano che è molto difficile anzi impossibile traversarli per cui ne deriva che i bambini per lo più muoiono senza battesimo e molti adulti pure muoiono senza l'assistenza del sacerdote.
I vicini addussero molte altra ragioni e chiesero perciò al predetto Illustrissimo signore che per la salvezza delle anime loro dividesse e separasse la detta chiesa di S. Andrea della Vicinanza di Ancillate dalla cura della prepositura dei SS. Protaso e Gervaso di Lecco, e dal Capitolo della medesima e la erigesse e fondasse come chiesa parrocchiale da reggere, curare, governare, custodire ed incrementare da un sacerdote adatto che i vicini sempre ed in ogni tempo avrebbero eletto quale parroco; fosse loro inoltre concesso il diritto di eleggere (ius elligendi) il parroco e rettore della detta chiesa e degli abitanti, quando accadrà che il posto rimanga vacante, mentre la conferma del parroco eletto spetterà all'Arcivescovo di Milano.
Il parroco così eletto e confermato dovrà ogni giorno, salvo giusto impedimento, celebrare la santa Messa e gli altri divini uffici tanto solenni che in suffragio dei defunti e dovrà pure amministrare i Santi Sacramenti per la santificazione delle anime dei vicini, secondo i loro bisogni e le loro consuetudini.
La parrocchia dovrà considerarsi separata e del tutto smembrata dalla cura della detta prepositura di modo che lo stesso prevosto per nulla affatto possa immischiarsi nell'esercizio della detta cura e neppure nelle funzioni per i defunti ed i funerali.
Il curato eletto dovrà possedere una buona istruzione (bonis litteris) ed essere di buoni costumi e riceverà una degna mercede dagli scolari e da tutti coloro che vogliono entrare nella Confraternita.
Le ragioni poi che impongono la detta separazione ed erezione della parrocchia sono le seguenti.
La Vicinanza ha una popolazione abbastanza numerosa (satis populo numerosa), la chiesa è ben adatta (satis congrua), fornita da calici, palii e necessari paramenti; notte e giorno poi si conserva il SS. Sacramento con la lampada sempre accesa.
Ha insomma tutto quanto necessita una chiesa parrocchiale e principalmente anche l'abitazione per il parroco con l'orto.
I Vicini poi si offersero di procurare tutto quanto era necessario per meglio ornare e provvedere la chiesa e quanto mancasse al sostentamento del rettore.
Per il quale sostentamento, oltre ai soliti emolumenti straordinari, vi erano i redditi dei seguenti beni immobili di proprietà della chiesa.
Dapprima un appezzamento di terra campiva, di una pertica e mezza circa, nel territorio della Vicinanza di Ancillate, in località detta "sotto la chiesa" le cui coerenze erano da una parte il signor Francesco Airoldi, dall'altra la strada, dall'altra gli eredi del fu Mafeo de Alberiis.
Inoltre un appezzamento di terra prativa e vidata, di circa due pertiche, con una cascina, giacente in località detta "ad prata vicina" le cui coerenze erano da due parti i possedimenti della Vicinanza di Ancillate, dall'altra Gian Pietro Albrizi.
Inoltre un appezzamento di terra di due pertiche circa, giacente in località detta "ad Gerolam" le cui coerenze erano da una parte gli eredi del fu Martin delle Merale e dall'altre parti la strada.
Inoltre un appezzamento di terra campiva, di circa una pertica, in località detta "Schena rotta" le cui coerenze erano da una parte gli eredi del fu Mafeo Albrizi e dall'altra Lancini Ghislanzoni.
Inoltre un appezzamento di terra campiva in località detta "ad Fontenam" di circa una pertica, le cui coerenze erano gli eredi del suddetto fu Mafeo, da un'altra Andrea Saboni e da un'altra la strada.
Inoltre un appezzamento di terra campiva e vidata di circa una pertica giacente in località detta "in Fanali" le cui coerenze erano da una parte Giovanni Palamini, dall'altra i beni dei canonici dei SS. Gervaso e Protaso di Lecco e dall'altra i beni della prevostura.
Inoltre un appezzamento di terra campiva e vidata giacente nella stessa località, di circa due pertiche le cui coerenze erano da due parti la strada, da un'altra parte Giuseppe Nicolini e da un'altra parte Giovanni Antonio della Crotta.
Inoltre un appezzamento di terra prativa ed avidata di circa quattordici pertiche giacente in località detta Girello le cui coerenze erano da due parti la strada, da una parte Lancini Ghislanzoni e dall'altra parte gli eredi del fu Simone de Bolis.
Inoltre un appezzamento di selva giacente in località detta Ceresolo.
Inoltre un appezzamento di bordo giacente in località detta "in Planchis" le cui coerenze erano da una parte il letto della Brassola e dall'altra gli eredi del fu Gaspare Rotta.
Da questi beni si poteva ricavare ogni anno, secondo la comune estimazione, cinquanta lire imperiali; inoltre la Scuola o Confraternita di S. Maria s'impegnava a dare ogni anno al parroco dodici lire imperiali e quella di S. Pietro Martire tre lire imperiali.
Vi era poi un livello pagato da Francesco Asole che fruttava un affitto di sei lire imperiali annue.
Infine gli uomini della Vicinanza nel timore che tali rendite non fossero sufficienti per il mantenimento del parroco si impegnarono di versare per sempre, ogni anno, in tre rate, duecento lire imperiali ponendo la condizione che una volta eletto ed accettata l'elezione il parroco non poteva lasciare la parrocchia contro la volontà della Vicinanza ed inoltre niente più si doveva pagare al prevosto di Lecco, come prima si faoeva, perché il prevosto non aveva più l'onere di attendere ai bisogni spirituali della Vicinanza.
L' Illustrissimo signor Cardinal Borromeo dopo l'attenta visita pastorale fatta nel 1566 (ex oculata visitatione) alla chiesa di Maggianico, convenne nel ritenere veramente necessario separare e dismembrare la cura di S. Andrea dalla prepositura di Lecco e di erigerla in parrocchia, considerando gli obblighi che gli uomini della Vicinanza promisero di assumersi.
Per mandare ad effetto tale determinazione e per l'esecuzione dei detti obblighi, vennero eletti sindaci e promotori di tutta la comunità e della Vicinanza degli uomini di Ancillate (totius universitatis et hominum dictae vicinantiae de Ancillate) il signor Bernardo Ghislanzoni del fu Sebastiano abitante nel luogo di Barco ed il signor Antonio Manzoni abitante a Maggianico, i quali si presentarono all'Arcivescovo card. Carlo Borromeo che si trovava a Varese per la visita pastorale.
Di questa loro nomina a Sindaci della Vicinanza venne redatto un atto in pubblica ed autentica forma (in publicam et autenticam formam) dal notaio milanese Antonio Airoldi (4).
Avvenuta l'erezione della parrocchia rimase un obbligo tradizionale della nuova parrocchia verso il prevosto di Lecco in riconoscimento della rinuncia da lui fatta di ogni diritto parrocchiale nel territorio di Maggianico; la Vicinanza doveva donare ogni anno al prevosto un capretto.
L'importante documento sopra citato ci dà un quadro completo della situazione di Maggianico nella seconda metà del secolo XVI.
Esso ci mostra una comunità laboriosa e tenace, attaccata alla propria terra ed alle proprie tradizioni, sensibilissima ai problemi spirituali e desiderosa di affermare la propria vitalità sociale col darsi un saldo ordinamento parrocchiale; per raggiungere tale scopo la Vicinanza é pronta a sacrifici generosi.
Avranno certamente influito le due Confraternite esistenti ma é in realtà tutto il popolo unanime che sorretto dalla fiducia verso un così eccezionale Arcivescovo, chiede la desiderata costituzione della parrocchia.
Il documento ci ricorda nomi ormai scomparsi di località maggianichesi, aspetti della sua agricoltura, difficoltà delle comunicazioni per le pessime strade del tempo, nomi di antiche famiglie e specialmente di due nobili famiglie antiche, quella dei Ghislanzoni di Barco e quella dei Manzoni di Maggianico.
Formavano la nobiltà campagnola locale ed é certamente significativo vederle alla testa della popolazione nell'impresa più memoranda dei maggianichesi, la fondazione della parrocchia.
Sorge qui naturale la domanda: quanti abitanti contava allora la nuova parrocchia di Maggianico?
Lo status animarum del 1578 ci dà questo prospetto:
Terra di Barco: Famiglie 25 - Abitanti 151
Terra di Maggianico: Famiglie 28 - Abitanti 170
Terra di Missirano: Famiglie 10 - Abitanti 47
Totale: Famiglie 63 - Abitanti 368
In media ogni famiglia era quindi composta da sei membri.
Indice demografico molto alto, quando poi si confronti con altri luoghi.
Nello stesso anno Belledo contava 4 famiglie e 20 abitanti; era quindi un cascinale, tanto che la cura spirituale di Belledo venne affidata al parroco di Maggianico.
Lecco nell'anno 1579 contava 119 famiglie e 646 abitanti e comprendeva il borgo murato, il castello coi soldati, il porto, Pescarenico, Calioto, Pescale e Torretta(7).
Da questa statistica appare evidente l'importanza di Maggianico nel complesso della comunità lecchese durante il secolo XVI e come a buon diritto gli abitanti avessero voluto una parrocchia loro propria.
Fatta la parrocchia bisognava fare i parrocchiani, bisognava cioé abituare i fedeli a seguire quelle norme, numerose e sapienti, che i Sinodi Diocesani e che il santo arcivescovo Carlo Borromeo emanavano.
I maggianichesi se con tanto slancio avevano voluto la loro parrocchia, non per questo potevano d'un tratto lasciare certe abitudini inveterate, in contrasto con le buone norme di una parrocchia ben ordinata, alle quali erano avvezzi per la mancanza di un'autorità parrocchiale sul luogo e, diciamolo pure, per la poca cura dimostrata dal prevosto di Lecco.
Di questo stato di cose, verificatosi in verità soltanto agli inizi della nuova parrocchia perché presto i parrocchiani seppero comprendere ed ubbidire, abbiamo uno strano documento, una relazione cioè inviata dal primo parroco di Maggianico che rimase in parrocchia per sei anni e si mostrò all'inizio molto zelante nella sua missione pastorale.
Verso il 1570 il nuovo parroco mandò all'Arcivescovo di Milano questa relazione da ogni parola della quale trapela un senso di rassegnato scoraggiamento.
"Illustrissimo e Reverendissimo Signor Cardinal Borromeo.
Io prete Angelo Barcono curato della parochia di santo Andrea non ho mancato circha alli comandamenti ordinati da V.S.Illustrissima et Reverendissima per il santo concilio diocesano(che si tenne il ...... ?) et circa alla visita fata da V.S. Ill.ma er Rev.ma, non hanno fatto niente per che dicono non haverli al modo (cioè non hanno possibilità) per essere molto malli atratati dalla tempesta.
Circha de beni della chiesa dicono esser maggior parte de i vicini et di quelli ne pagano il curato.
In detta chiesa vi é una scholla della Madonna nella quale scolla molte volte ho voluto che si solvano gli ordini che comanda la regolla di detta scolla ma io non sono mai posuto venire in cognizione de i beni, né di scolari per che dubito voliano tenere la cosa in lorro (tra di loro, nascosta) et ho ancora inteso, ma no dil certo, che de detta scolla vi è dinari honestamente (cioè una buona somma di denari).
La scolla dil SS. Sacramento io gli ho detto al altari forsi 6 volte ma io non ho mai posuto far eseguire cosa alcuna. Vi é ancora la scolla dil glorioso santo Pietro Martire ma non ha niente di entrata se non le elemosine.
Vi é una capella alla foresta che si domanda Santo Rocho la qual dicono non haver niuna dote et si serra con chiavasura ma non é sicura et dicono tal capella havervi uno calici et uno paramento, vi é ancora la campana.
La casa della chiesa (cioè la casa parrocchiale) é fora dalle altre assai et malissimo sicura quando io parto.
Et se V.S. Ill.ma et Rev.ma mi interponesse un poco della sua autorità ritroveria il modo da acconciarla et assicurarla.
Li altri curati qua intorno tanto tereni (cioé da queste parti, di questa terra) quanti forastieri hanno li utensili della casa io on ho cosa alcuna et per essere lontano da casa mia ne patischo assai et mancho mi ritrovo il modo di comprarmi si che io sono a malissimo sorto et suplico a V.S. Ill.ma et Rev.ma haver compassione al mio desaggio con tratarmi almancho egualli ali altri et farmi provedere almanco del dormire et un poco de biancaria". (8)
Si trovava adunque il primo parroco in una situazione poco lieta in mezzo ad una popolazione se non proprio ostile però fiera delle proprie tradizioni di indipendenza e purtroppo travagliata dalla gravi difficoltà economiche a causa dello scarso raccolto.
D'altra parte a figura del primo parroco di Maggianico é molto enigmatica.
Si sa che venne ordinato sacerdote nel 1560 e che nel 1573 aveva 35 anni (9); molto giovane quindi e già da sei anni parroco. Non era però della diocesi di Milano; era stato consacrato suddiacono a Parma mentre gli altri ordini li aveva ricevuti a Cremona.
Una nota del prevosto di Lecco del 1573 loda le sue qualità pastorali: "Va in habito clericale et decente né porta vesti proibite. Patisce alle volte dolori colici. Si intratiene ad insegnare a filioli della sua cura et la festa se occupa cerca (circa) la dottrina cristiana. Instrutto in grammatica et dà opera a casi di coscentia. Se diporta da bon relligioso. Canta a pratica (cioé non conosce la musica teoricamente). Non manca di sermonare al populo le domeniche. (10)
Ma una nota dello stesso anno 1573 ai 17 di Novembre del prevosto di Lecco dice laconicamente: "La cura di Santo Andrea di Anzillate é vacante et é titulata in messer prete Angello Bargono qual di presente é bandito da sua Ill.ma Signoria dal territorio di Lecco". (11)
E del primo parroco di Maggianico nulla più sappiamo.
Nella relazione sopra citata del parroco Barcone, oltre all'accenno alla carestia si ricorda l'esistenza di una chiesetta dedicata a S. Rocco alla foresta che nella visita fatta da san Carlo nel 1566 é definito "oratorium satis pulcrum et ornatum", cioé un bell'oratorio e ben tenuto.
Il culto a san Rocco si é diffuso tra noi nel secolo XVI a causa purtroppo del frequente ripetersi del contagio pestilenziale.
Probabilmente questa chiesetta di San Rocco alla foresta ricorda la peste che infestò il milanese nel 1524 portata dalle truppe francesi.
Nessun documento però conferma questa supposizione.
E' certo invece che nel 1580 Lecco fu infestata dalla peste che va sotto il nome di san Carlo e noi potremo constatare nel prospetto che daremo delle variazioni demografiche di Maggianico nei vari secoli, che dopo tale data la popolazione sensibilmente diminuisce.
A completare il quadro della vita religiosa in questo periodo ricorderemo che l'ordine dato da san Carlo di istituire la Confraternita del SS. Sacramento venne eseguito, malgrado inizialmente la popolazione non sembrasse voler aderire, come attesta la dichiarazione del primo curato di Maggianico.
Secondo quanto vien detto dalla relazione della visita pastorale del cardinal Federico Borromeo, sarebbe stata eretta nel 1566, anno della Visita fatta da san Carlo. Tale data invece é da posticiparsi di qualche anno.
Non mancavano alcuni disordini morali anche gravi che il secondo parroco Simone Gianolis cercò di togliere comminando l'interdetto personale contro i colpevoli (13).
Il secolo XVI è stato per la storia di Maggianico certamente il più importante perché durante questo secolo la sua chiesa, per il mecenatismo sapiente dei suoi devoti, si arricchì dei due meravigliosi polittici e perohé, per unanime volontà dei suoi abitanti, venne costituita la parrocchia con l'illuminato decreto del grande arcivescovo milanese san Carlo Borromeo.


NOTE AL IV° CAPITOLO
(1) - Arc. Curia Arc. - Visite Pas. - Lecco - vol.XIV q.17 (Visita del card. Federico Borromeo)
(2) - c.s. vol.XIII q.13 "Visitatio facta a M.RR.DD. Francisco Bernardino Cermenato Praeposito Desii et Fabritio Pissina canonico S.Nazarii. Die Mercurii 3 Agusti 1569. Ad ipsum altare est cappella et altare beatae Virginis et sunt scolares n.20 vol circa et habent regulam quae visa fuit"
(3) - c.s. Vol. XII q. 12
(4) - c.s. Vol. IX q. I
(5) - c.s. vol. XI
(6) - c.s. vol. III° q.4
(7) - c.s. vol. III° q.35
(8) - c.s. vol. III° q.2
(9) - c.s. vol. III° q.34
(10)- c.s. vol. III° q.33
(11)- c.s. vol. IX q.1 - 1573 Nov. 17 - Status ecclesiae - Pieve di Lecco.
(12)- c.s. vol. III° q.3 - "Nota de li desordini nella mia cura di S.to Andrea di Ancillato pieve di Lecco. In primo delli interdicti nello anno passato. (Uno che ebbe un figlio illegittimo da una relazione illecita, per violenza carnale, e non vuole risarcire dando la dote alla donna). Anchora é interdetta una Franceschina de Bolis della terra di Barcho cura di S.Andrea... per perseveranza della sua mala vita pubblica nel vitio meretricio... anchora ho interdetto uno Andrea figlio del quondam Martino della Merla di Missirano de dicta cura de S.to Andrea... alla presenzia di più persone disse che non voleva temere né mi né Idio né l'diavolo dil che dette grande scandalo, di poi ha biastimato Dio pubblicamente."

CAPITOLO V°

Nella Vicinanza di Ancillate le generazioni dei suoi umili lavoratori si succedevano in un clima di serena tranquillità; il lavoro assiduo e l'intensa religiosità erano i contrassegni di questa vita patriarcale.
Il villaggio prosperava tanto che nel 1603 la popolazione della Cura di Sant'Andrea era salita a 600 abitanti, dei quali 400 erano nell'età di potersi comunicare (1).
Pur tenuto conto che la Cura comprendeva Belledo, tuttavia é evidente che il progresso demografico era notevole e che era pure crescente il benessere sociale, come lo dimostrano le forti spese fatte dalla Comunità nei primi decenni del secolo XVII.
In un ambiente così tranquillo gli avvenimenti più notevoli restavano pur sempre quelli religiosi, almeno fino allo scoppio funesto del contagio pestilenziale.
Nel 1608 venne in visita pastorale per la prima volta il Cardinal Federico Borromeo, che ritornò poi nel 1615; in realtà la prima visita fu solo iniziata dal Cardinale perché venne poi continuata e finita dal Visitatore generale don Antonio Albergato (2).
Le relazioni delle due visite si integrano a vicenda e se da un lato rivelano la cura meticolosa del cardinal Borromeo nel vagliare la situazione della parrocchia sotto ogni aspetto, d'altra parte ci offrono numerose ed interessanti notizie.
Innanzitutto la vecchia chiesa parrocchiale di Sant'Andrea apparve all'Arcivescovo in pessimo stato ed insufficiente ai bisogni della popolazione, per cui ordinò la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale.
Stabilì che un peritus Architectus studiasse il progetto il quale doveva poi essere sottoposto alla sua approvazione; prescrisse l'orientamento esatto della costruzione con l'altar maggiore rivolto al tramonto. Volle che ci fossero due cappelle minori una dedicata alla Vergine e l'altra a S.Antonio; prescrisse inoltre il Battistero da collocarsi in una terza cappella; prescrisse infine la decorazione pittorica alle pareti che doveva esaltare gli episodi più importanti della vita di Sant'Andrea.
Egli ricorda le Confraternite della B. Vergine Maria che era praticamente unita a quella del SS. Sacramento; gli accenni alla Confraternita del SS. Sacramento sono molto incerti e solo più tardi essa riuscirà a prevalere fino a far scomparire quella della B. Vergine Maria.
Secondo una nota di un Visitatore del sec. XVIII la Confraternita del SS. Sacramente sarebbe stata fondata dallo stesso cardinal Federico Borromeo, però abbiamo già ricordato che fu San Carlo ad imporre l'erezione di tale Confraternita; malgrado i contrasti con le Confraternite già esistenti, si può quindi ritenere come sicura che l'erezione avvenne prima della fine del secolo XVI (4).
Il cardinal Federico Borromeo richiamò ai congregati della Confraternita della B. Vergine Maria, l'obbligo di dare buoni esempi di vita veramente cristiana e di espellere coloro che non intendevano correggersi da certi abusi(5).
Nella sua visita non ricorda più la Confraternita di San Pietro Martire che perciò dobbiamo ritenere sia scomparsa prima della fine del secolo XVI.
Anche l'Oratorio di San Rocco alla foresta aveva bisogno di urgenti restauri e così pure quello di Sant'Ambrogio che addirittura minacciava di crollare(6); per quest'ultimo permetteva di usare i frutti di un lascito fatto alla chiesetta nel 1446.
Vi era poi un abuso grave da togliere nella chiesa di Sant'Ambrogio; essa serviva da ricovero agli zingari quando si fermavano a Maggianico e perciò il Cardinale, sotto pena d'interdetto, proibì che le "Aegyptias personas qual Cingaras vocant" potessero in avvenire continuare il grave abuso. Questa proibizione ci rivela un particolare gustoso della tranquilla vita dei maggianichesi allietati e spesso ingannati dai canti e dalle astuzie zingaresche.
Purtroppo il buon Arcivescovo dovette anche rampognare il parroco don Simone Martini alquanto dimentico della sua dignità sacerdotale.
Nella prima visita venne multato perché si comportava in un modo troppo sordido tanto in casa che in chiesa e perché trascurava taluni dei suoi più importanti doveri. Egli inoltre durante i mesi estivi allevava i bachi da seta e trasformava la canonica, ampia e comoda, in un puzzolente laboratorio di bachicoltura.
Non sappiamo sino a qual punto il parroco don Simone Martini ubbidì alle severe ingiunzioni, ma é certo che durante il lungo tempo passato a Maggianico egli vide sorgere la nuova chiesa.
La vecchia chiesa di Sant'Andrea visitata da San Carlo Borromeo venne abbandonata, solo si conservò l'uso della torre campanaria. La nuova chiesa parrocchiale, che è poi l'attuale, sorse non molto lungi da quella vecchia. Un documento del secolo XVIII ohe citeremo più innanzi, sottolinea il disagio che ne derivava dal fatto che la nuova chiesa non aveva la torre campanaria vicina, ma ne "era disgiunta mediante strada, roggia e piazza", quindi la vecchia chiesa di S. Andrea sorgeva più in basso, verso il lago, rispetto all'attuale parrocchia fatta costruire per ordine di Federico Borromeo.
La domanda, in data 30 Gennaio 1627, veniva Motivata così: "Non avendo gli uomini della terra di S. Andrea pieve di Lecco... per la sua (loro) povertà sin hora potuto ridurre a perfetta la loro nuova chiesa chiedono... ecc."(9).
Il grave disagio economico causato dalla carestia venne aggravato terribilmente dal passaggio di un esercito di soldati al comando dell'italiano conte Rambaldo di Collalto, mandato dall'imperatore Ferdinando II° all'assedio della città Mantova.
Questo esercito, passato alla storia col nome di esercito dei Lanzichenecchi, dalla Valtellina arrivò in Valsassina il 20 settembre
del 1629 donde si sparpagliò sulla "grande riviera" con quegli effetti descritti mirabilmente dal Manzoni nel suo romanzo. Attesta uno storico del tempo che i trentaseimila Lanzichenecchi alloggiarono in Valsassina e nel Lecchese; anche Maggianico e Belledo dovettero sopportare il peso degli alloggiamenti dei soldati, con gravissimi danni. Finalmente dopo venti giorni di ansie e di paure i maggianichesi poterono guardare con sollievo, dalle pendici del Magnodeno, il passaggio sul ponte di Lecco delle ultime schiere dei Lanzichenecchi e l'epica cavalcata degli squadroni cadenzata dal rullo dei tamburi ci viene evocata mirabilmente dall'immortale romanzo manzoniano: "Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di Ferrar; passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo, passò anche Galasso, che fu l'ultimo."(10).
Ma se erano passati gli squadroni dei soldati, rimase fra le terrorizzate popolazioni un flagello ancor più terribile: la peste.
Una delle prime avvisaglie del contagio nel lecchese si ebbe proprio a Chiuso dove al 20 Ottobre si manifestarono i primi casi di contagio. Il medico Tadino mandato dal Tribunale di Sanità milanese a fare un'ispezione nel lecchese, arrivato a Chiuso "trovò molto numero d'huomini et donne li quali giorno e notte, dissero habitare alla campagna per il timore del contagio, havendo abandonato le proprie case et le loro comodità et parevano tante creature selvatiche, portando in mano chi erba, chi la ruta, chi il rosmarino et chi un'ampolla di aceto, che per dir vero facevano piangere" (11).
Il diffondersi del contagio paralizzava ogni attività sociale e commerciale, rendendo ancor più desolata la condizione degli abitanti. Le strade fra Chiuso e Malgrate furono interrotte dai cordoni sanitari per impedire ogni contatto con le zone infette; gli ammalati vennero segregati per la stessa ragione.
A Maggianico la prima vittima della peste muore il 25 Dicembre di quello stesso anno 1629; forse non era il primo caso perché l'annotazione fatta sul Registro dei Morti parrocchiale mostra chiaramente come al principio tutti erano restii ad ammettere la terribile verità.
Dice il Registro: die 25 decembris mortua est Margarita filia quondam Bernardi Lorencetti cum suspitione pestis.
Die 25 eiusdem mensis mortua est quaedam puella annorum 8 filia domini Joannis Crota cum suspitione pestis.
Nei due giorni 25 e 26 Dicembre si verificano quattro casi mortali, solo di tre é ammesso il sospetto (cum suspitione) di peste.
La violenza dimostrata inizialmente dal contagio, i casi verificatisi sin dall'Ottobre nella vicina Chiuso avrebbe dovuto convincere subito che si trattava del terribile morbo.
In realtà sotto il 27 Dicembre il Registro dei Morti ammette esplicitamente che il contagio pestilenziale anche a Maggianico ha iniziato la sua macabra mietitura di vite umane: Die 27 Decembris mortua est Felicita uxor Antonii Gianneti peste laborans.
E fino al Luglio del seguente anno 1630 il Registro dei Morti s'infittisce dei nomi delle persone morte di peste.
Sono circa 90 casi letali ricordati dal Registro per cui si può ritenere che almeno un quinto della popolazione di Maggianico morì durante il contagio. Talvolta sono intere famiglie di cui neppure si ricordano i nomi di tutti i membri, che vengono registrati in una sola nota. Eccone un esempio: 1630 Bernardus Sala cum uxore et duobus filiis morbo contagioso confecti, mortui sunt dicto mense Februarii.
Il Registro è attualmente ridotto in pessimo stato con tutti i fogli staccati; inoltre il modo sommario di registrare i decessi ci fa sospettare che non tutti i morti siano stati annotati in esso.
Il vecchio parroco don Simone Martini deve aver compiuto interamente il suo dovere e morì o a causa del morbo oppure soverchiato dalla fatica e dal triste spettacolo del contagio.
Sopra la prima pagina di un Registro parrocchiale dei Battesimi si trova questa interessante annotazione: 1631 - I seguenti Battesimi sono trasportati dal libro vecchio, il quale essendo stato purgato per la contaggione, non era cosa decente il scrivere in detto libro, perché difficilmente si poteva scrivere e intendere il già scritto dall'anno 1631 sino al presente del 1634. Et cosi io prete Carlo Gorio Curato della Parochiale di Santo Andrea di Ancillate incominciai esercitare la detta Cura l'anno 1631 nel mese di Novembre.(13)
Passato il contagio la situazione doveva essere deprimente ma per fortuna il nuovo parroco si dimostrò pienamente all'altezza della situazione e fu certo anche per merito suo se il ritmo di vita nella Vicinanza riprese con rinnovato vigore e dopo tante sciagure si ebbe finalmente un lungo periodo di tranquillità prosperosa.
Le Confraternite, mercé lo zelo del Parroco, ripresero alacremente a funzionare, come ci viene attestato dal Liber Chronicus parrocchiale: I° Gennaio 1632 - Convocati e congregati gli uomini della vicinanza di Ancillate, cioé Maggianico, Barco e Missirano, nella chiesa parrocchiale di S.Andrea per nominare quei scolari ohe devono amministrare la detta chiesa, dapprima venne eletto il Priore dicendo ognuno il nome del favorito, segretamente, all'orecchio del curato; poi vennero eletti gli altri. (14)
Nella vita che per lo più trascorreva tranquillamente(15) queste assemblee generali assumevano il carattere di un avvenimento eccezionale. Anche per cose che a noi sembrano molto trascurabili, l'assemblea dei Confratelli si adunava solennemente per decidere. Così al I° Agosto 1637 "Li huomini di Barco et Maggianico, Vicinanza di Ancillate, cura di santo Andrea pieve e territorio di Lecco desiderosi di vivere pacificamente per maggior honor di Dio et salute delle anime loro hanno giudicato ispediente venire alla presente conclusione acciò ognuno consapevole del carico suo sappia come governarsi. Essendo che il custode cioè chi ha il carico di sonare le campane di detto luogo non haveva alcuna regola per sonare in occasione di sepelire li morti, cosa che alle volte era di puoca sodisfaxione a molti et in particolare chi s'aspettava l'honore di tal fonzione. Perciò tutti unitamente et concordi si sono rimessi all'infrascripti capi, cioé capitoli che stabilivano minuziosamente il modo di suonare le campane da morto (16).
Al tempo della prima Visita pastorale del Cardinal Federico Borromeo la Confraternita del SS. Sacramento contava 108 uomini e 178 donne; praticamente tutti gli adulti della Parrocchia (17). Venne fondata verso questo tempo la Confraternita della Dottrina Cristiana e nel 1689 quella del S. Rosario, seguendo le nuove forme di pietà cristiana che andavano appunto estendendosi in quel tempo (18).
Anche la moralità era elevata se nella suddetta Visita pastorale si annota minuziosamente: "Nessuno convive coniugalmente senza aver contratto matrimonio. Nessuno si dedica a pratiche superstiziose, a venefici o ad arti magiche. Nessuno sta in chiesa in modo irriverente. Nessuno profana la festa col lavoro, con danze, con bagordi (tripudiis), con gozzoviglie od altre cose simili. Nessuno abusa nel gioco dei dadi né in casa né fuori. Nessun concubinario, nessun usuraio, nessun bestemmiatore, nessuna pubblica meretrice, nessun criminale."
Bisogna in verità riconoscere che ai nostri tempi la moralità è ben lontana dal grado di purezza raggiunto dai buoni Maggianichesi del seicento!
Si dice perfino: "Caupones nulli!" cioè nessun oste. Il che ci sembra un fatto incredibile.
Purtroppo erano nulle anche le opere di assistenza sociale, danno questo solo in parte compensato dalla vicinanza con Lecco. Non vi era infatti a Maggianico, nessun medico (medicus phisicua), nessun chirurgo e nessun notaio.
La gente viveva molto sobriamente una vita patriarcale e semplice. Anche i poveri erano pochi, soltanto sei; le vedove 26 e gli orfani 10 (19).
In questo trascorrere sereno della semplice vita dei Maggianichesi poca importanza avevano taluni mutamenti politici, come, nel 1647, la vendita di Lecco e del suo territorio quale feudo comitale a Marcellino Airoldi (20).
Come i Ghislanzoni di Barco avevano fatto costruire la chiesetta di san Carlo così non vollero essere da meno i Manzoni di Maggianico; Pasino Manzoni infatti nel 1667 fece edificare la chiesetta dedicata a S. Antonio da Padova (21) dalle semplici linee barocche che ancora rimane ed é frequentata in determinate ricorrenze. Nel 1744 ottenne il privilegio dell'Indulgenza plenaria per i fedeli che l'avessero visitata nel giorno della festa patronale (22).
Terminò anche il periodo della dominazione spagnuola in Lombardia ed il 28 settembre del 1706 le armate Austro-Piemontesi guidate da Eugenio di Savoia entrarono in Milano.
Nel Lecchese la fine della dominazione spagnuola fu ingloriosa ed al dire dell'Arrigoni la popolazione avrebbe acclamato i nuovi padroni. Infatti egli scrive: "Lecco però le cui fortificazioni erano state estese nel 1703 durava tuttavia in potere dei Gallo-Ispani. Ma avendo il principe Eugenio preso anche Trezzo, mandò al conquisto di Lecco trecento cavalli Alemanni, Savoiardi ed Ussari sotto la condotta di un capitano lorenese, il quale, venuto a Pescate (3 Ottobre 1705) fece affiggere al ponte ed alle porte di Lecco le cedule imperiali e mandò nella fortezza il cavalier Carlini figlio naturale del principe Eugenio per far la chiamata ed intimare al Governatore don Cristoforo Quixano y Cardenas Balderrama la resa della piazza. Era giorno di mercato ed il popolo numeroso, sempre desideroso e allora forse più che mai di novità, gridava gli evviva all'imperatore. La guarnigione della rocca non era composta che di trentasei soldati e di questi soli quattordici atti alle armi. Intanto il capitano lorenese... improvvisamente occupò il ponte piantandovi due cannoni, finchè giunse il messo da Trezzo coll'ordine della resa a discrezione. Fu quindi disarmata la guarnigione ed il Governatore gentilmente oompagnato a Mandello... Anche Fuentes assediato da milizie paesane dovette nel 1706 arrendersi al Governatore di Como.(23)
Questi fatti a Maggianico avranno naturalmente avuto quelle ripercussioni che sono facili ad immaginarsi.
Il dominio austriaco non fu a lungo pacifico; nel 1733 il Piemonte si alleò con la Francia nella guerra contro l'Austria per la successione di Polonia; Carlo Emanuele III° varcò il Ticino ed entrò alla testa delle sue truppe in Milano. Ma le esigenze della politica europea non permisero a Carlo Emanuele III° di rimanere a Milano e nel 1736 egli ripassò il Ticino accontentandosi di annettere al suo territorio il Tortonese, il Novarese ed alcune terre della Lomellina.
Fu durante questa invasione franco-piemontese che il forte di Fuentes venne espugnato, Lecco si arrese senza combattere e per due anni il suo territorio sentì il peso della permanenza di gran numero di soldati(24).
Passata anche questa bufera a Maggianioo la vita riprese il suo consueto ritmo e mentre nell'Europa si andavano addensando le grosse nubi che avrebbero portato lo scompiglio tra i popoli, nell'antica Vicinanza i fatti più salienti ohe punteggiavano il tranquillo scorrere del tempo, erano ancora una volta quelli religiosi, quelli che veramente sanno commuovere tutto il popolo e rimanere a lungo impressi nella memoria di chi si è trovato ad essere attore e spettatore ad un tempo.
Il 16 Giugno 1746, provenendo da Acquate giunse a Maggianico il cardinal Giuseppe Pozzobonelli, accolto con grande giubilo dal popolo.
Il Pozzobonelli fu una delle più grandi figure tra gli Arcivescovi milanesi e dalla relazione della sua Visita pastorale appare con quanta cura egli andasse considerando i problemi della Parrocchia e con quanta sapienza egli emanasse norme per togliere gli inevitabili abusi e le trascuratezze nel servizio religioso (25).
La relazione della Visita é inoltre molto importante perché in essa viene descritto lo stato in cui si trovavano le preziose tele esposte sugli altari della chiesa di Maggianico. Ma questa preziosa testimonianza ci sarà utile più innanzi.
Notevole figura di parroco, dal 1767 al 1803, fu don Giovanni Battista Conti che resse degnamente la parrocchia in anni turbinosi e densi di gravi avvenimenti politici europei.
Ebbe anche la fortuna di avere, dal 1773, come viciniore un parroco le cui virtù sacerdotali giunsero a tale elevatezza che la Chiesa ne ha istituito il processo canonico, spinta dall'unanime consenso popolare che lo chiamò beato; intendo alludere al parroco di Chiuso don Serafino Morazzone.
A don Conti spetta il merito per l'erezione del nuovo bel campanile che ancora svetta con la sua caratteristica linea barocca.
Gli amministratori della chiesa di S. Andrea chiedendo la convalida delle spese fatte all'Autorità civile, così esponevano i motivi che avevano spinto la Comunità a costruirsi il nuovo campanile.
"Eccellenza, La vecchia torre delle campane della Chiesa Parrocchiale della Comunità di Belledo con Maggianico e Barco resta unita alla vecchia abbandonata Chiesa e disgiunta mediante strada roggia e piazza della nuova chiesa, che nello scorso secolo fu fabbricata in grandezza corrispondente alla cresciuta popolazione. In oltre non ha che due piccole campane cosicché ne' suddetti luoghi di Maggianico e Barco ed in altri membri della stessa Parrocchia, massime ne' tempi ventosi frequentissimi in quella Comunità vicina al lago, non si può udire il suono delle dette campane, locché cede a grave incomodo e pregiudizio degli abitanti di detta Comunità che non possono perciò accertarsi dell'ore precise, ne le quali devono intervenire alle sagre fonzioni ed a pubblici convocati.
Per riparo dell'accennato pregiudizio gli abitanti di detti luoghi di Maggianico e Barco hanno sino nel passato anno 1763 fatta costruire una nuova torre annessa alla nuova chiesa parrocchiale, per unirla poi di sufficienti campane ed a quest'effetto, coll'oblazione fatta alla stessa chiesa si sono cumulati lire duemille incirca esistenti parte in casa ed in parte in crediti esigibili e pel restante vi sono altre oblazioni colle quali si potrà supplire per intero alla spesa medesima. Perciò i sottoscritti officiali di detta chiesa parrochiale e Deputati dell'estimo di detta Comunità servitori dell'Ecc. vostra stanti anche le replicate instanze del popolo e del Parroco della stessa comunità, hanno determinato di dar esecuzione alla menzionata costruzione delle nove campane, ma non potendosi valere di dette lire 2000, sebbene procedenti da volontarie oblazioni, senza il permesso della R.Giunta Economale di cui l'Ecc. vostra é degnissimo Capo, perciò fanno alla medesima riverente ricorso" (26).
Questo bel documento ci rivela la importanza del campanile nella storia di Maggianico; simbolo di, fede e strumento indispensabile nella vita pubblica della Comunità, adunava il popolo al suono delle sue campane non solo per pregare Iddio, per allontanare le tempeste, per piangere i morti, ma anche per discutere e decidere nelle pubbliche adunanze. Il documento dà pure testimonianza dell'amore dei Maggianichesi verso la propria Parrocchia per cui sopportarono in ogni tempo sacrifici anche gravi e si prodigarono in tutti i modi per migliorarne la efficienza.
Fatto il campanile nuovo, nel 1777 vennero fuse le cinque nuove campane che ancor oggi squillano dalla cella campanaria; fonditore fu Giacomo Crespi da Crema. La prima fu dedicata alla Madonna, la seconda a S.Andrea, la terza a S.Antonio da Padova, la quarta a S.Carlo Borromeo, la quinta a S.Rocco. Sono i santi verso i quali talune famiglie ed il popolo maggianichese dimostrarono una particolare devozione.
Le nuove leggi giuseppine avevano proibito l'uso millenario di seppellire i morti accanto e dentro alla chiesa e perciò anche a Maggianico la Comunità comperò il terreno e costruì il nuovo Camposanto nel 1788 (27).
In conseguenza di ciò nel 1790 l'attivissima parroco don Battista Conti pensò di sistemare meglio il pavimento della chiesa e lo rifece totalmente coi solidi riquadri in marmo che tuttora lastricano non senza buon effetto l'ampia navata della chiesa parrocchiale(28).
Tutta queste notizie di cronaca locale ci testimoniano del benessere e della vita laboriosa e serena vissuta dal popolo di Maggianico.
Non mancavano certo ogni tanto le difficoltà ed il parroco Conti ci ha lasciato una viva descrizione di un disastro provocato da uno di quei terribili temporali d'Agosto che s'abbattono su una zona con furia distruggitrice (29).
Scrive il parroco nel Liber Chronicus: "1786 a 15 Agosto - Al dopo pranzo circa le ore vent'una in questa Comunità di Belledo con Maggianico e Barco l'acqua del Bione totalmente rovinò il ponte di Belledo, l'acqua della Nolascha rovinò moltissimi campi in Belledo sino ai luoghi della via; l'acqua del Molino di Maggianico rovinò la Foppa delli signori Bonacina e luoghi limitrofi ed in seguito rovinò tutta la strada cominciando dal ponte della Vicina sino al Molino di Maggianico con danno gravissimo delli vicini luoghi; l'acqua della Brazzola vicina alla chiesa parrocchiale rovinò li luoghi del Sig. Raineri e delli sigg. Mazzucone e Ghislanzone e parroco, quali sono chiamati la Girola e luoghi vicini; l'acqua del Civo rovinò la Maggianica del Sig. Ghislanzone, gettò a terra la cinta di muro della casa di ragione di Francesco Colombo di Barco con pericolo di gettare a terra tutte le case vicine, rese la strada sino a Chiuso impraticabile, oltre li gravissimi danni che arrecò la detta acqua alli luoghi contigui.
Doverà il popolo di Sant'Andrea avere particolare divozione alla Beatissima V.Maria della Assonta per non essere perita alcuna persona in questa Comunità stante l'imminente pericolo d'essere rovinata e destrutta non poche case della suscritta comunità."
Il giorno 11 Giugno 1794 venne a compiere la Visita pastorale l'arcivescovo Filippo Visconti, quando già in Francia imperversava il Terrore rivoluzionario.
Il parroco don Giovanni Battista Conti compose per l'occasione, secondo la moda diffusa in quei tempi, due eleganti distici latini per inneggiare al grande Visitatore. Il popolo accolse con riverente devozione il Pastore che arrivava col suo seguito così composto: sopra una carrozza viaggiavano con l'Arcivescovo il Vescovo di Laro Mons. Tomaso Gallarati Scotti che poi amministrò la S. Cresima, il convisitatore Mons. Lampugnani ed il Segretario dell'Arcivescovo; seguiva un carrettino con il Cerimoniere, il Curato Cancelliere, il Caudatario, il Segretario del Vescovo di Laro ed un servitore; vi era poi un secondo carrettino con il Prefetto degli Ostiari, un cameriere, un cuoco ed altre persone di servizio; chiudeva la carovana uno "strascino", specie di veicolo accompagnato da un facchino per il trasporto dei bagagli su quelle pessime strade(30).
La visita pastorale si svolse regolarmente ed é facile immaginare quali fossero le esortazioni dell'Arcivescovo al popolo, in un momento così denso di incognite per l'avvenire dell'Europa.
L'anno seguente infatti scoppiava la guerra tra Francesi e Austriaci alleati coi Piemontesi ed il 15 Maggio del 1796, come è noto, Napoleone Bonaparte entrava in Milano.
Seguirono anni turbinosi per l'Europa ed il cataclisma che si era abbattuto sui popoli raggiunse a tratti, arrecando rovine, anche Maggianico.
Nel 1796 il parroco dovette denunciare la suppellettile d'argento all'autorità civile; la nota enumerava un turibolo con navicella, quattro candelieri (due grandi e due piccoli), un ostensorio, una Pace con la reliquia di S. Andrea, una pisside, una sottocoppa e tre vasetti per gli Olii sacri. Il due gennaio 1797, nel Castello di Lecco, il parroco dovette consegnare le due sottocoppe e due candelieri piccoli in esecuzione dell'ordine del 4 Brumale 1796 (31).
Fu certo una perdita dolorosa specialmente se si considera che i pezzi consegnati, per la loro antichità oggi avrebbero un valore considerevole.
Le vicende della guerra che divampò contro Napoleone, coinvolsero anche l'ampia costiera lecchese. Nel 1798 i Cappuccini di Pescarenico, di manzoniana memoria, per ordine del Direttorio della Repubblica Cisalpina furono espulsi dal Convento ed il parroco di Maggianico dovette prodigarsi per trovare loro un alloggio di fortuna.
Ancora più grave fu il fatto di guerra avvenuto a Lecco l'anno seguente e che fu chiamato la "battaglia del ponte". Ci viene riferito questo episodio, con trepida narrazione, dal curato di Maggianico.
"Il giorno 25 del mese di Aprile 1799 in queste parti le truppe Imperiali e Russe (provenienti dalla bergamasca), le quali nel detto giorno vennero alle mani con l'Armata francese al ponte di Lecco, dove durò la battaglia sino alla sera con perdita sì d'una parte come dell'altra e ciascheduna Armata rimase nelle loro posizioni.
Il giorno 26 é seguito il saccheggio per tre giorni successivi nelle comunità di Chiuso, Belledo (che comprendeva Maggianico) e di Pescarenico in tutte le case con danno gravissimo delli rispettivi proprietari; nella mia casa parrocchiale in denari, biancheria, abiti, tabaro, possate d'argento ed altre cose di valore, ascenderà il danno a mio pregiudizio di lire duemille e cinquecento lire, diconsi L.2500= Ciò nulla ostante sono contento stante che ero imminente a cadere estinto. Il giorno 26 del suddetto mese di Aprile una parte dell'Armata Austria Russo si portò a Brivio ed ebbe campo di passare, dopo un lungo oonflitto cell'Inimico, l'Adda, dove poi l'Armata Francese per non essere circondata, il giorno 28 alle ore 8 minò due archi del ponte di Lecco ed ebbe campo di fugire, parte verso Como (donde passò in Isvizzera) parte verso Verderio e parte verso Gera; subito fu investita l'armata francese da tutte le parti dalle Armate Imperiali. Ed in fede Giambattista Conti Curato di St. Andrea."(31)
Ma il 2 giugno 1800 Napoleone, primo Console, rientrava vittorioso a Milano e questa volta ricostituendo la Repubblica Cisalpina allontanava dai posti di Governo i fanatici giacobini e cercava di ristabilire, sia pure a modo suo, la pace e il rispetto alla religione.
Del nuovo clima che si andava faticosamente creando, si ha un sintomo anche a Maggianico dove il parroco Conti si diede con zelo tenace a ricostituire la Confraternita del SS. Sacramento con sede nella chiesa di San Rocco in Barco e con nuovi Statuti per i quali chiese l'approvazione dall'autorità arcivescovile con una petizione che cominciava così: "Il Parroco unitamente ai Deputati, a nome della propria Comunità de Luoghi di Belledo con Maggianico e Barco, Pieve di Lecco, hanno graziosamente ottenuto da Governo in materia di cose ecclesiastiche e dal Ministro per il Culto, di poter erigere nella suddetta Comune la Scuola del SS.mo Sacramento e della Carità, quindi i suddetti e sottoscritti ricorrono a V.S. Ill.ma per averne il grazioso permesso ed anche quei indirizzi che più crederà opportuni secondo le regole del glorioso S. Carlo, obbligandoci alla perfetta obbedienza e disciplina" (33).
Bisogna notare che nei documenti della fine del secolo XVIII ed in questo indirizzo si parla della "Comunità di Belledo con Maggianico e Barco" il che fa supporre che la parrocchia di Maggianico fosse stata soppressa dalle leggi civili ed aggregata a Belledo. Anche nel carteggio, che verrà esaminato attentamente a suo luogo, riguardante la proposta di acquistare il polittico del Luini e quello del Ferrari per conto delle Belle Arti di Milano, si parla esplicitamente della "chiesa parrocchiale soppressa di Maggianico (anno 1804)(34).
La soppressione durò certamente poco tempo e l'illuminato zelo del parroco che pensò di organizzare saldamente la Confraternita del SS. Sacramento, è un indice eloquente della ferma volontà dei maggianichesi di riconquistare l'antica compattezza mediante il vincolo spirituale e giuridico della parrocchia riconosciuto anche dalla legge dello Stato.


NOTE AL V° CAPITOLO
1) - Archivio della Curia Arciv. di Milano, Visite Pastorali, Lecco vol.23 - Visita fatta nel 1603 dal can. Baldassarre Cepalla
2) - c.s. vll.26 e 27
3) - c.s. vol.34 Erecta fuit haec Societas ad altare maius per ven. mem. Federicum card. Borromeum Archiepiscopum ut ab illis diplomate inibi exposito.
4) - c.s. vol.10 "Status ecclesiae" nella pieve fatto dal prevosto di Lecco: "Nella chiesa di Santo Andrea de Anzillate gli sono le Scuole dil Corpus Domini deilla Madonna et santo Pietro Martire senza alcuna erectione né regula reservando quella dilla Instruzione generale de Mons. Ill.mo et Rev.mo (cioé san Carlo) per il Corpus Domini"
5) - c.s. vol.14
6) - c.s. vol.14 q. 7
7) - c.s. vol.24
8) - ".... ma ancora per la crudele carestia del vivere in tutto questo ducato, ma particolarmente in queste parti, qual va perseverando già molti mesi sono, costando il formento lire 54 il moggio, la segale lire 48, il miglio lire 38 et essendo queste misere genti astrette a dover trovare ogni giorno danari da pagar soldati et altre grossissime taglie imposte oltre le suddette" (Arrigoni: Notizie storiche della Valsassina, pag.278)
9) - Visite Pastorali s.c. vol.34
10)- Capitolo XXX
11)- Tadini - Ragguaglio dell'origine della peste pag.21
12)- Arc. Parr. di Maggianico - Registro dei Morti
13)- c.s. Registro dei Battesimi
14)- c.s. Liber chronious, pag.2, che porta inizialmente questa indicazione del curato Carlo Gorio "In hoc libro notabantur omnia facta iura, legata et alia spectantia ad ecclesiam parochialem S.Andreae Vicinantiae de Ancillate, Maggianici videlicet Barchi et Beledis Plebis Leuci Diaecesis Mediolani incipiendo ab anno 1631"
15)- Talvolta anohe nel lecchese si profilava la minaooia di guerra. Nel 1636(circa sei anni dopo il passaggio dei Lanzichenecchi) narra lo Arrigoni che il francese duca di Rohano occupa la Valtellina, entra in val Varrone, poi in Valsassina devastando Premana e Introbio. "Dalla Valsassina il Rohano si era spinto anche a Lecco coll'intenzione di passare il ponte e recarsi sul milanese, ma vistolo guardato da una torma innumerevole di Brianzoli mutò pensiero e fatto da un notaio rogar l'atto di questo ardimentoso viaggio, se ne tornò indietro"(c.c. pag.293)
16)- Liber chronicus s.c. pag.41
17)- Visite Pastorali s.c. vol.27
18)- c.s. vol.33 pag.161 "Ex litteris in forma Brevis R.Alexandri VIII Romae datae secundo calendis decembris anno 1689 ....conditum est Sodalitium SS.Rosarii"
19)- Visite Pastorali s.c. vol.27
20) - Arrigoni c.c. pag.294
21) - Visite pastorali s.c. vol.17 q.6
22) - c.s. vol.34
23) - c.c. pag.331-332
24) - c.s. pag.338
25) - Visite Pastorali s.c. vol.32
26) - Liber ohronious s.c. pag. 84
27) - c.s. pag.91
28) - c.s.
29) - c.s. pag.99
30) - Visite Pastorali s.c. vol.33
31) - Liber ohronicus pag. 108
32) - c.s. pag.111
33) - c.s. pag.112
34) - Carteggio conservato nell'Archivio Parr. di Maggianico

CAPITOLO VI°

Durante il breve periodo della dominazione francese in Italia stabilita da Napoleone, a Maggianico, come già constatammo nel precedente capitolo, passate le emozioni degli ultimi anni del secolo XVIII, la popolazione mantenne inalterate inalterate quelle caratteristiche di laboriosità e di religiosità che tante volte ebbimo modo di sottolineare. Talune manifestazioni religiose sono inoltre quasi sempre rivelatrici delle condizioni economiche delle popolazioni.
La chiesa di S. Andrea che nel 1804 appariva chiusa al culto perché era stata soppressa la parrocchia, venne non molto tempo dopo riaperta con grande soddisfazione dei Maggianichesi; si ha infatti notizia che il 22 Ottobre 1811, essendo parroco il sacerdote Antonio Prada, il prevosto e Vicario foraneo di Lecco benediceva il nuovo altar maggiore di elegante linea neoclassica, ricco di marmi policromi e di decorazioni bronzee(1). Nello stesso stile sono pure i due altari laterali che fanno da cornice alle famose tele del Luini e del Ferrari.
Non molti anni dopo sorgeva, pure in istile neoclassico, la nuova chiesa di S.Rocco, a pianta centrale, fatta erigere dalla famiglia Ghislanzoni su disegno del celebre architetto lecchese Giuseppe Bovara(2) e che una Guida stampata nel 1860, la "Grande Illustrazione del Lombardo Veneto", ricorda come già da tempo costruita e come monumento famoso(3).
Questa intensa attività rinnovatrice nelle chiese di Maggianico sta a testimoniare che il buon popolo era più che mai fedele agli antichi ideali religiosi che formano il tessuto connettivo della sua storia secolare, anche se - come appare dalle relazioni del tempo - assieme alla popolazione di Lecco e dei paesi del territorio, nel 1797, non sia rimasta insensibile alle nuove idee di libertà e di eguaglianza venute dalla Francia, tanto più Lecco, sia pure per breve tempo, era stato capoluogo del Dipartimento della Montagna, creato da Napoleone Bonaparte (4).
Quelle idee non tramontarono col ritorno poco gradito degli Austriaci, ma vennero custodite gelosamente nei cuori durante il periodo della grande attesa del Risorgimento italiano.
Il tranquillo trascorrere del tempo venne turbato, specialmente nel lecchese, dalla calamità dell'epidemia colerica diffusasi nel 1830. "La ferocia del male - scrive Ignazio Cantù - si manifestò poi sul finire di Giugno (1836) nel territorio di Lecco e la prima terra ad essere infetta fu Rancio...In un momento S. Giovanni alla Castagna, Rancio, Germanedo, Olate, Laorca e più di tutto Castello, furono ridotti alla più desolabile situazione... Castello, Olate e Laorca rimasero senza parroco"(5). In quella calamità la provincia di Como ebbe 4209 vittime, mentre quella di Milano solo 2924.
La mattina del 18 Marzo 1848 nel lecchese corse rapida una sbalorditiva notizia; la popolazione attese ansiosa per tutto il giorno l'arrivo della diligenza di Milano, ma questa non giunse ed il fermento s'accrebbe perché il fatto singolare dimostrava che le voci erano vere, che a Milano era scoppiata la rivoluzione per scacciare gli Austriaci; tanto più che al mattino di quella fatidica giornata era giunta anche a Lecco la notizia della insurrezione di Vienna per cui si andava ripetendo che i Milanesi erano certamente insorti.
Poi le notizie si accavallarono una sopra l'altra, una più sensazionale dell'altra. Il giorno seguente la popolazione della "grande riviera" era tutta in aperta agitazione, noncurante dei 200 soldati, quasi tutti italiani, che, comandati da un capitano, presidiavano Lecco in nome dell'Austria.
All'alba del 20 Marzo tutta la riviera risuonò dello scampanio festoso che incessantemente si diffondeva dalle torri campanarie delle castellanze e che spinsero dodicimila uomini nella piazza del Mercato e nelle vie di Lecco con le coccarde sui cappelli e con le bandiere tricolori spiegate al vento; duemila di essi erano armati di fucili, di picche, di falci e di tridenti.
Un documento ufficiale così dà relazione del fatto memorando: "All.I.R. Comando della IV Sezione della Guardia di Finanza - Como - Prima dell'albeggiare del giorno 20 andante nei Comuni di questo Distretto ed anche in altri limitrofi suonò campana a stormo e dopo un'ora circa comparve intorno a duemila persone armate la maggior parte di fucili, picche ed altri stromenti, susseguiti da altre diecimila persone apparentemente inermi con cappelli forniti di coccarda e bandiere tricolori, che minacciosi percorrevano le contrade di questo paese gridando: Abbasso la guarnigione; poscia questa moltitudine imponente si fermò sulla piazza del Mercato insistendo colle grida: Abbasso la guarnigione, composta dalla X Compagnia dell'I.R. Reggimento Barone Geppert, per cui date le insinuazioni e le preghiere delle persone le più ricche e dabbene, il reverendo Preposto e clero, sempre nell'intento di non spargere sangue, l'ufficialità d'essa compagnia ha deliberato di cedere le armi dei suoi soldati al Municipio... Lecco 21 Marzo 1848" (6).
Nello stesso giorno si era costituita a Lecco la Guardia Civica a cui si arrese lo sparuto presidio austriaco, consegnando le armi.
Furono giorni di tripudio, di cortei, di funzioni religiose col canto del Te Deum, e di partenze dei primi volontari per Milano; con molta fierezza il Comitato lecchese comunicava, il 21 Marzo, a Como: "Le notizie di Lecco e suoi dintorni si riassumono in due parole: piena libertà, ordine e forza per conservarli"(7).
Fu una grande fiammata di patriottismo che se dovette soccombere assieme a tutto il movimento d'insurrezione lombardo, tuttavia fu indispensabile premessa alla definitiva rivincita italiana di appena dieci anni dopo.
Il 14 Agosto 1848 un reggimento croato col comandante Popovich ripassò baldanzosamente il ponte di Azzone, mentre la costernata popolazione della "grande riviera" sopportava in silenzio la bruciante umiliazione.
La circoscrizione parrocchiale manteneva da oltre due secoli i vasti confini dell'antica Vicinanza di Ancillate comprendente Maggianico, Barco e Missirano; gli ordinamenti politico-amministrativi invece, dalla fine del sec.XVIII, avevano stabilito una divisione diversa; Belledo divenne Comune aggregandosi Maggianico (8) e Barco fece Comune a sé, anzi una certa unità comunale che lo distingueva da Maggianico si mantenne per buoha parte del secolo XIX. Ma poiché come si é detto, la parrocchia, salvo il breve periodo in cui venne soppressa, conservò la sua originaria formazione é naturale che noi continueremo a considerare la storia di Maggianico tenendo presente principalmente l'estensione territoriale della Parrocchia. Questa avvertenza era tuttavia necessaria perché taluni autori dell'ottocento parlano di Barco come di un paese ben distinto da Maggianico.
La rinomanza di Barco nel secolo XIX è dovuta specialmente a due fattori: la sorgente d'acqua solforosa e la fama di un caratteristico personaggio che, se non nacque precisamente a Barco, si ritenne originario con la sua famiglia di questa frazione; intendo alludere ad Antonio Ghislanzoni.
La fortuna della sorgente cominciò appunto alla metà circa del secolo XIX. "La villa di Barco - scriveva Andrea Luigi Apostolo nel 1855 - (10), situata presso Maggianico, non aspirò mai nei tempi andati a veruna rinomanza. Alcuni anni or fanno, dal masso calcareo che sporge dalle verdeggianti falde della montagna, non lungi dalla moderna chiesetta di san Rocco, si minavano dei sassi da fabbrica, quando a caso ne zampillò uno spillo d'acqua graveolente di zolfo... i villici la giudicarono come un'acqua impura e la chiamarono l'acqua marcia. Nel novembre 1851 alcuni villici... (vollero) assaggiare l'acqua marcia. L'insolito sapore e l'odore sulfureo rammentarono a taluno di loro il sapore e l'odore delle acque di Sant'Omobono e siccome queste scaturiscono dalla stessa montagna nella opposta valle di Imagna, pensarono quei contadini che l'acqua marcia avesse proprio una comune origine coll'acqua di Sant'Omobono.
La avventurosa scoperta sollecitò ben tosto la curiosità dei Barcesi e dell'intero territorio; furono provocate delle analisi e delle esperienze e queste hanno stabilito contenere quell'acqua varii sali, fra i quali prevalgono i carbonati di magnesia, di calce e di ferro e gli solfati di calce, di magnesia e di soda e possedere essa una benefica azione deprimente e solvente. Le memorie del dottor Ghislanzoni, del dottor Polti e del dottor Capsoni e più ancora il sempre crescente concorso dei forastieri, hanno ormai messa fuori di dubbio la salutare efficacia delle acque di Barco; e già si matura il progetto di fabbricarvi un adatto ricovero dei curanti i quali frattanto trovano alloggio abbastanza comodo in Barco ed in Maggianico. Nella stazione della bibita alcune vetture percorrono più volte al giorno la strada fra Barco e Lecco, porgendo così opportunità ai curanti di approfittare dei conforti che offre il capoluogo".
Quando gli Austriaci vennero definitivamente cacciati dalla Lombardia, a Milano, fucina ardente di ogni movimento d'avanguardia nel campo artistico-culturale, si affermò una corrente artistica analoga alla Boheme parigina nonchè conseguenza diretta e conclusiva del grande Romanticismo lombardo.
Venne chiamato questo movimento con un nome sbarazzino e significativo: la Scapigliatura.
Per quanto sia impossibile incatenare il flusso ora impetuoso ora placido della vitalità dell'arte nelle strettoie delle date, tuttavia si può dire con approssimazione che la Scapigliatura nacque verso il 1860, proprio nel clima esuberante di libertà creatosi in seguito alla cacciata dello straniero.
La Scapigliatura milanese ebbe manifestazioni varie nella pittura, nel teatro, nella letteratura, che sarebbe troppo lungo considerare; a noi basta ricordare ohe se ebbe il suo quartier generale a Milano alla "Famiglia Artistica" creata dal cremonese Vespasiano Bignami nel 1872 e sopratutto alla "ca' Sigogna" o meglio nell'orto di Casa Cicogna (via Vivaio ove attualmente sorge l'Istituto dei Ciechi) considerata la Casa Madre della Scapigliatura, essa ebbe pure alcune colonie campestri che alla domenica erano meta di chiassose scampagnate e che nei periodi estivi offrivano un soggiorno ideale per sfuggire il caldo cittadino.
In tempi in cui si viaggiava ancora in diligenza e le strade erano pessime, i Milanesi trovavano nelle località dei laghi lombardi una facile e piacevole meta delle loro scampagnate.
Una delle colonie più famose della Scapigliatura milanese fu Maggianico "dove villeggiava un gruppo di artisti e di musicisti già celebri, archimandriti della Scapigliatura, come Gomez e Ponchielli, e dove la rinomata osteria del Davide colle sue belle figliole faceva rivivere i bei tempi del Polpetta e de Ca'Sigogna. Pittori, letterati, musicisti vi si davano pazzi e geniali convegni. Ferdinando Fontana, Grandi, Giozza, Ponchielli, Gomez, Appiani, Cagnoni, Farina, Villani, Ricordi, Catalani, Donizetti, Iotti, che talora invadevano l'eremo di Antonio Ghislanzoni a Caprino Bergamasco, dove il geniale, sdegnoso, eclettico scrittore li accoglieva a braccia aperte.
....Schiudiam la casa ai lepidi amici;
suoni di festose musiche
il salottino e più chiassosi irrompano
i repressi cachinni!(11)
Della fortuna di Maggianico in questo periodo abbiamo una descrizione minuta e piacevole fatta dallo stesso Antonio Ghislanzoni e sarebbe un peccato non inserire tutta l'interessante narrazione del fecondo scrittore barcese, nei fasti dell'antica Vicinanza di Ancillate.
"A tre chilometri da Lecco, lungo la linea ferroviaria per Bergamo, da uno strato di campagne fluttuanti sorge il paesello di Barco. Le brulle e dirupate foreste del Resegone qui si presentano di sbieco, affacciandosi tratto a tratto ai poggi della montagna sovrastante al paese. Questa montagna si chiama Magnodeno. Avete mai sentito proferire un tal nome?...Permettetemi di dubitare. La celebrità del Resegone ha vietato agli altri bei monti che costituiscono il pittoresco bacino, di prender posto nel sovvenire dei visitatori. Sono usurpazioni che sogliono avverarsi nel regno della natura come in quello dell'arte...
Barco, or fanno trent'anni, era un pacifico nido di coloni. Dal Magnodeno, popolato di castagneti e d'ulivi, fluivano copiose le acque sui fertili campi coltivati con amore.
Quattro o cinque famiglie di agiati possidenti conducevano una vita patriarcale in grembo alle nitide case, schierate in prima linea sulla stradicciuola che mette alla chiesa. E la chiesa era bella, di semplice architettura, melanconica, attraente. Non d'altro orgogliosi che del bel campanile, del bel ouratino che intonava le antifone in chiave di tenore, quei terrazzani formavano una famiglia morigerata e pacifica, inaccessibile alle seduzioni del progresso.
Su quest'ultimo lembo di territorio lecchese venivano ad ammortirsi nell'idillio i sussulti e le ansie di una grande operosità industriale.
Anche qui esistevano le filande, i filatoi, gli scannatoi e gli opifici congeneri; ma esistevano in sembianza di intrusi. Le ruote giravano silenziosamente, le esalazioni delle caldaie evaporavano inosservate; quelle intime agitazioni della industria serica parevano circondarsi di mistero. Da quelle officine, che avevano l'aspetto di chiostri, uscivano a certe ore delle salmodie religiose, le quali anziché turbare la profonda quiete del paesello parevano vestirla di un fascino melanconico e soave. Sotto l'aspetto morale, Barco rappresentava a quei tempi una confraternita cristiana votata al lavoro, alle aspirazioni ascetiche ed alla preghiera.
Sullo scorcio dell'anno 1850 un colono assetato curvandosi per bere ad una sorgente smarrita fra gli arbusti, avverti un disgusto che quell'acqua puzzava maledettamente di uova fradice.
Eureka! Acqua che puzza vuol dire acqua salubre. Ed ecco il paesello di Barco inaspettatamente arricchito di una fonte minerale.
Accorsero i medici, accorsero i chimici. Il padre Nappi in seguito ad un'analisi accuratissima, constatò nella putrida linfa la presenza dello zolfo, della magnesia e di altri sali efficacissimi.
Il mio ottimo padre, medico valente e schietto galantuomo, mandò fuori per le stampe un opuscolo altrettanto modesto che veritiero, dove l'acqua di Barco veniva raccomandata per casi di pirosi o gastro enterite antica, di epatite, splenite, nefrite, cistite, uretrite, nella itterizia, nella scrofola e più specialmente nelle malattie epatiche. La proprietaria della sorgente non dié fondo ai suoi capitali per far onore a quello stampato, la cui diffusione rimase circoscritta al territorio di Lecco.
Fu eretta per comodo degli accorrenti e battezzata col titolo di Caffé una baracca di legno mal connessa e disadorna; fu dichiarato al rispettabile pubblico che il viaggio di Barco, frazione di Belledo, non poteva offrire ai convalescenti che un paio di buone osterie con una ventina di letti. Era un programma poco attraente e molti anni dovettero trascorrere prima ohe si desse mano alla costruzione dell'albergo male architettato ed insufficiente che viene aperto al pubblico nella grande stagione. Nullameno stante l'amenità del luogo e l'efficacia delle acque, nei primi tempi il concorso non fece difetto. Da Monza, da Cremona, da Lodi, capitavano a Barco nel luglio, degli esotici personaggi fatti ad immagine del dottor Azzecca-garbugli, il naso spugnoso, la fronte piena di screpolature, le guance coperte di squame.
Si acconciavano alla meglio nei venti letti. Di buon mattino salivano alla fonte e risciacquandosi la ventraia protuberante, facean gli occhi dolci alle belle lecchesi, che a quell'epoca si affollavano a torme sul luogo per isfoggiarvi le trasparenze delle candide mussoline. Ma era un lagno generale.
Mancava la proprietà, mancavano quei comodi, quelle attrattive che intrattengono la buona società e giustificano l'eleganza ed il lusso. Due sole vasche, non ricordo se di legno o di pietra grossolana, fecero per anni parecchi il servizio dei bagni - e quale servizio!
Si promettevano migliorie; ai progetti si contrapponevano i disegni, i disegni ai progetti e frattanto lo status quo persistente distornava i forestieri e portava lo scoramento nelle nubili fanciulle e nelle vedove insoddisfatte che sogliono fornire il più amabile e il più ameno contingente alle terme.
Chi un poco s'intenda di piccoli paesi, non stupirà di quanto sto per dire. Non tutti a Barco vedevano di buon occhio la fonte; i bigotti, i maggiorenti, gli uomini di stampo antico, amanti del quieto vivere, presagivano un rovescio dell'ordine pubblico. Lo insolito concorso era per essi un disturbo; lo sviluppo di una nuova speculazione minacciava il regolare svolgimento delle antiche.
Le beghine, fameliche di peccato, per ogni coppia che si smarrisse nei labirinti circostanti alla fonte, fantasticavano adulteri e cose peggiori. Gli erpetici dal naso rosso portavano la corruzione in paese; Dio minacciava la grandine e la siccità per gli orrori commessi negli intervalli delle bibite.
Sono scempiezze che attecchiscono nei volghi...
Da pochi anni la fisionomia del paesello si è tramutata e pare che lo spirito dei nuovi tempi, dirò meglio lo spirito dell'arte e delle profane innovazioni, sorvolando alle antiche e monacali dimore, vi abbia deposti i germi di un avvenire rigoglioso e brillante.
Isola Gloria, Via Fantasia, Via Cesare Beccaria, Via Rossini, Via Verdi, Via Antonio Ghislanzoni! Ma sicuro! ... anche il mio lungo nome, non badando all'eccedenza della spesa, han voluto i buoni abitatori di Barco affiggere alla casa ove io nacqui e dove morirono i miei padri. Sanno le muraglie quanti sarcasmi, in compenso di una gentile testimonianza di simpatia e di pietà a me accordate ebbero a raccogliere il sindaco e i consiglieri del piccolo Comune. Mi incombeva l'obbligo di risarcirli....
Quale fu l'iniziatore di quel ribattezzamento di contrade, operatosi a Barco verso l'anno 1870?
A quell'epoca il sindaco Giuseppe Invernizzi, del quale avremo a parlare più innanzi, di pieno accordo col segretario Berti, maestro di scuola, organista, compositore di polke e di mazurke, vagheggiava l'idea di istituire nel paesello una banda musicale. Per inoculare in un popolo il lievito dell'arte, nulla meglio di una esposizione di parole fosforiche. La "Isola Gloria" e la "Via Fantasia" significavano un'appello alla idealità; i due illustri nomi di Rossini e di Verdi volevano essere i precursori della banda vagheggiata. E la banda, composta di una trentina di villici militarmente abbigliati col Keppì a pennacchio tricolore, colla sciabola al femore, una bella domenica esplose i suoi primi accordi sulla piazza del sagrato.
Le trombe e le offlicleidi mandarono un tal rombo che la montagna si scosse e il lago diede un balzo.
Chi ha assistito agli scrosci sinfonici di quella banda può vantarsi di aver gustato il massimo effetto della sonorità che mai si perpetrasse da una batteria di istrumenti metallici. Era un frastuono; ma era altresì, come già dissi, una pletorica aspirazione verso l'arte... Oggi gli strumenti esercitati dai vigorosi bandisti dormono irrigiditi nelle stamberghe a lato degli invalidi fucili che già armarono le milizie cittadine. Quelli, come questi, hanno compiuto la loro missione civilizzatrice e avverrà difficilmente che ricompariscano sul campo.
a banda di Barco, ad esempio di tutti i corpi rivoluzionari, paga di aver aperta la breccia, si è tratta in disparte a contemplare silenziosamente l'ingresso dell'arte bella, dell'arte vera, dell'arte nobile e pacata.
Non è forse lecito pronosticare un'invidiabile avvenire artistico al paesello, dove oggi due splendide illustrazioni del teatro musicale, Amilcare Ponchielli e Carlo Gomez, erigono le belle dimore, destinate al convegno delle Muse ed ai sussulti delle melodiche aspirazioni?
Come è avvenuto che gli autori della Gioconda e del Guarany venissero a piantare le loro tende, l'una di fronte all'altra, sulle ultime appendici del melanconico Magnodeno?
Vorrei arrogarmi tutto il merito di tale avvenimento; pure mi é forza convenire che altre simpatie personali accompagnate da eventualità favorevolissime esercitarono sull'animo del due fantasiosi maestri un'attrazione irresistibile.
La parte di merito che a mé spetta esclusivamente(e ci tengo come ad un diritto di proprietà artistica) è quella di aver chiamati sul lago i due illustri musicisti e di aver impiegato tutti i lenocini della mia eloquenza per convincerli non esistere in Europa una zona campestre più propizia di questa al risveglio delle ispirazioni e dell'appetito.
Il territorio di Lecco ha veduto in quest'ultimo decennio transitare pel laberinto de' suoi paeselli pittoreschi i più notevoli rappresentanti dell'arte melodrammatica.
Venivano qui per ragione ragioni di libretto; ma una volta approdati, subivano il fascino del luogo. Enrico Petrella tornò più volte a rivedere, dopo la gran stagione dei "Promessi Sposi", il bel lago e le belle montagne...
Se la morte non avesse troncato innanzi tempo l'affannata carriera dell'ispirato operista, io ritengo ohe egli pure, non fosse altro per amore delle trote, avrebbe eretta la sua capanna su qualche scoglio della riviera.
Passarono e accarezzarono l'idea di poter quandochessia riposarsi dalle guerre e dalle noie del teatro, in qualcuno dei nostri ameni paeselli, l'illustre autore del Don Bucefalo e del Papa Martin, Antonio Cagnoni; Gaetano Braga il simpatico violoncellista, Cesare dall'Olio, il maestro gentiluomo che diede splendidi saggi di ingegno e di cultura musicale coi due spartiti Ettore Fieramosca e Don Riego; Carlo Pasta, Edoardo Perelli, Agostino Mercuri ed altri parecchi.
Mandiamo un saluto agli egregi maestri e augurando che il bel sogno abbia un giorno a realizzarsi per ognuno di essi, vediamo come giunsero qui e perché si trattennero il Ponchielli ed il Gomez.
Amilcare Ponchielli era stato nella sua prima giovinezza assai duramente trattato dagli uomini e dalla fortuna...(e)... consumava melanconicamente in Cremona la sua intelligenza vigorosa.
Quando il Ponchielli venne per la prima volta a Lecco, la sua eccentrica figura, improntata di arguta bonomia, appariva circondata da un'aureola. Era l'aureola del successo... E una splendida riparazione fu data dal mondo al Ponchielli.
Una bella sera, dopo la rappresentazione di una sua opera giovanile sepolta da oltre due lustri nell'oblio, l'oscuro capobanda di Cremona era uscito dal teatro Dal Verme col diploma di grande maestro. La città di Milano echeggiò del suo nome. All'indomani dell'avvenimento i cronisti intonarono il peana, i critici sfoggiarono tutta la suppellettile dei punti ammirativi, i sindaci si scambiarono telegrammi, le onorificenze si incrociarono sul petto dell'artista acclamato e i negozianti di musica, non mai schivi dal riconoscere il genio quando fiutano il lucro, investirono l'autore dei "Promessi Sposi" colle più laute profferte.
Uscito illeso dai lauti simposi e dal fragore delle acclamazioni, Ponchielli nell'ambiente calmo e sereno del territorio lecchese poté ricomporre il suo spirito esagitato dalle sorprese della fortuna.
...Pel corso di sette anni durante la gestazione dei Lituani, della Gioconda, del Figliuol Prodigo e dei Mori di Venezia, Ponchielli impiegò le sue ore d'ozio a misurare e scandagliare dei terreni. Si trattava di scegliere la posizione più adatta alla costruzione del suo casino di campagna... La gloria di aver intrattenuto a Barco l'autore della Gioconda spetta dunque esclusivamente all'oste Giuseppe Invernizzi, detto il Davide....Oggimai l'Albergo di Giuseppe Invernizzi detto il Davide è celebre in Lombardia.
Chi nomina Barco soggiunge Davide, come chi dice Aiaccio proferisce mentalmente Napoleone.
Davide, ohi era costui? Una grande energia paesana, guidata dal buon senso più retto e dagli istinti più onesti. Questo uomo d'acciaio che non cessò mai di esercitare la vanga e di adempiere con esemplare attività a tutti gli obblighi del colono, oggi personifica il progresso di Barco. E' una prosperità che di anno in anno sviluppandosi si concretizza in camere ammobiliate e in acquisti di terreni. Davide é un coltivatore, raddoppiato di macellaio, di sensale, di suonatore di tromba e di sindaco.
Vangando il terreno altrui adunò il valsente per acquistarli; vendendo il vino e le carni all'aperto guadagnò di che aprire l'osteriuccia; infine coi prodotti dell'osteriuccia comperò la casa che oggi può chiamarsi un grosso albergo.
Quella casa era mia. Dovetti venderla per pagare il tipografo che mi stampava la Rivista Minima all'epoca in cui certi Rabagas mi accusavano di mungere ai fondi segreti.
Com'ero tanghero a quei tempi! Io credeva combattere gli avversari della monarchia, i nemici dell'ordine.... E quei nemici dell'ordine, quegli avversari della monarchia erano i predestinati a divenire pochi anni dopo i puntelli del trono.
Torniamo al Davide.... io vi ho presentato questo uomo sotto i multipli aspetti della sua attività speculatrice; ma ancora non vi ho detto che il Davide é un'anima di artista. Intendiamoci. Non é artista soltanto chi esercita l'arte, ma lo è altresì colui che dell'arte ha sortito gli istinti, e, non potendo altrimenti, li manifesta colla devozione e colla entusiastica ammirazione di chi l'arte professa.
Chiamatevi pittore, musicista o poeta e all'albergo del Davide le camerette più confortevoli, gli intingoli più ghiotti, i vinetti più esilaranti saranno per voi.
E gli artisti non furono ingrati.
Il pittore Fontana, autore del bel dipinto l'Esopo e il Vespasiano Bignami hanno impresso sulle muraglie del simpatico albergo delle orme di riconoscenza che sono capolavori.
Agli volti di una scaletta che conduce ai piani superiori, il Fontana ha dipinto un'adorabile testolina di donna; e più innanzi, lungo il terrazzo che dà sul cortile, una baccante audacissima, circondata di amorini che scherzano intorno ad un grandioso disco di polenta, esibisce i suoi lussuriosi profili allo sguardo dei commensali. Ai piedi di quella figura provocante si legge la umoristica iscrizione: "Questo dipinto nell'anno 1874 fecero con la massima indifferenza Roberto Fontana e Vespasiano Bignami.
Troppo lungo sarebbe l'elenco degli illustri o semi illustri che il Davide colmò di cortesie e che ospiti una volta di lui, gli si professarono amici per la vita.
Figuratevi l'entusiasmo di questo oste foderato d'artista, la prima volta ch'ei vide entrare nel cortile del suo albergo i coniugi Ponchielli, un celebre maestro e una prima donna di cartello che si degnavano di ordigargli una frittata.
"Vorrei comporla con uova d'oro, vorrei friggerla col padellone del cielo!" E da quel giorno, da quell'istante il Davide si diede anima e corpo al Ponchielli, lo sedusse, lo conquise, lo avvinse con la sua ruvida ma schietta bonomia, lo trattenne a Barco per due o tre anni, e finalmente lo indusse a comperare un terreno e a porre le fondamenta dell'edifizio.
Ponchielli non avrà da rammaricarsi della precisione che il dabben oste ha esercitato su di lui. Il poggio dove sorge il casino è veramente incantevole. Alle quattro facciate rispondono altrettanti quadri stupendi che rapiscono lo sguardo, esaltano la fantasia e parlano al cuore. Da ogni finestra entrano raggi di poesia; negli atri, nel giardino già folto di alberi, spira l'alito dell'arte.
I passanti trovano a ridire sulla ingenuità dello stile architettonico e sulla povertà degli accessori. Che importa? La casa risponde perfettamente all'indole, alle abitudini, alle modeste esigenze del proprietario.
Ponchielli non tiene al lusso, non ama circondarsi di superfluità. Egli chiedeva un comodo e tranquillo romitaggio per annidarvisi, per meditare, per ispirarsi, per accogliere alla buona gli amici a sghignazzare liberamente alla barba del pazzo mondo. Sotto questi aspetti la casa non lascia desideri. Essa completa l'armonia che già esisteva fra l'ingegno, il carattere, il vestito, i modi e lo stile musicale del simpatico artista.
Chi ha fatto le cose da gran signore, anzi da gran signore brasiliano, è il maestro Carlo Gomez. Il suo edificio, discosto un cento passi da quello del Ponchielli, aspira per davvero al titolo di villa e promette le sontuosità del palazzo. Il poggio dove questo si erige è alquanto dimesso, ma il piano superiore raggiunge una tale elevatezza che di là può l'occhio abbracciare tutto l'ampio panorama del bacino lecchese, dalla punta dell'Abbadia fino alle chiuse di Brivio. Il fabbricato rasenta la ferrovia e sbocca alla soglia del casello dove tosto o tardi verranno a sostare i treni.
Alla soglia del suo parco, un parco dall'estensione di quattro pertiche all'incirca, attraversato da un amplissimo viale, il Gomez potrà dunque, tornando fra poco dal Brasile, scaricare la enorme massa di dollari e di trofei mietuti a Bahia ed a Rio.
Immagino la sua sorpresa e la sua gioia nel vedere con quanta celerità ed esattezza, tenendo conto dei luoghi e dei mezzi, Davide il factotum, il procuratore generale dei celebri maestri, abbia adempiuto al mandato. Oggimai le greggie muraglie sono sormontate dal tetto, negli atrii signoreggiano le colonne di granito; la serra, la vastissima serra, aperta alla luce di due orizzonti, non attende che le invetriate; i pavimenti si coprono di mosaici, i balconi eleganti e l'attico che abbraccia la tettoia si vestono di marmi variamente intagliati...
Gomez e Ponchielli due talenti musicali di primo ordine, due figure originali, bizzarre e in sommo grado simpatiche, non cessano per questo di rappresentare un'antitesi. Al Gomez tutto sorrise nell'età prima; si può dire che la fortuna lo abbracciò nella culla...
Trasmigrò in Italia... (A Milano) musicò una farsuccia dello Scalvini: "Se sa minga"; e quei brevi frammenti di musica lo resero celebre. Di là a due anni lanciò nel mare magnum della Scala una prima opera, il Guarany; e quell'opera acclamata al suo apparire, percorse trionfalmente tutti i teatri d'Italia e dell'estero.... Ruy Blas e Guarany sono le due opere che ottennero in quest'ultimo
ventennio il maggior numero di rappresentazioni... Sì all'uno che all'altro maestro, dopo un primo trionfo clamoroso, solenne, convalidato dal voto universale, é accaduto di vedere accolti con diffidenza, direi quasi ostilmente, i migliori parti del loro ingegno...
Gomez scrisse a Lecco, o più precisamente a Malgrate, i suoi ultimi spartiti. Anch'egli venne qui per trovarsi vicino al suo poeta (cioè il Ghislanzoni) per consumare nella solitudine campestre i primi sacrifici dell'imeneo... Tiriamo un velo sulle sofferenze toccate in questi ultimi anni ad un nobile cuore d'artista, di marito e di padre. La serenità di spirito, tanto necessaria ai cultori dell'arte, il Gomez potrà ancora ricuperarla nell'ambiente pacifico della villa... l'autore del Guarany, della Tosca, del Salvator Rosa e della Maria Tudor troverà indubbiamente gli estri vivaci della sua giovinezza per creare dei nuovi capolavori.
Chi mai avrebbe pensato, or fanno dieci anni, che Barco avesse a diventare una officina di melodie, un centro luminoso dell'arte, al quale dovranno convergersi gli sguardi dell'intero mondo musicale?
Frattanto il paesello si rinnova. Spuntano qua e là come per incanto degli eleganti casini signorili. I coloni danno il bianco alle muraglie; il Davide dilata i suoi appartamenti.
Barco nell'estate e nell'autunno promette trasmutarsi in una brillante colonia di poeti, di giornalisti, di maestri. Si é notato che i villeggianti d'ogni ceto venendo qui prendono dopo pochi giorni l'intonazione dell'ambiente. I gran signori smettono il sussiego, le dame semplificano la loro toletta e una simpatica cordialità viene a stabilirsi in ogni convegno. Verso le cinque nel cortile di Davide e sull'erboso altipiano dello stabilimento si pranza allegramente. Le figlie dell'albergatore, spigliate e modeste, fanno il servizio delle mense.
Il frak uggioso di quei merli stizziti che si chiamano camerieri non disturba l'armoniosa giocondità di questi pasti. Sulla sera dagli omnibus e dalle carrozze viene a versarsi nel paese un numeroso contingente di buone figure indigene. I vari gruppi si riuniscono, si ciancia, si ride, si organizzano le escursioni per domani.
I fanciulli si sbandano coi cani, le ragazzine danzano al suono degli organetti....Non si sa mai quel che può accadere ad un paese già prossimo a tramutarsi in un accampamento di maestri, di suonatori, di impresari, di faccendieri teatrali e di poeti".
La lunga citazione dello scritto di Ghislanzoni ci fa veramente rivivere uno dei periodi più brillanti della storia di Maggianico. E' pur vero che non si deve prendere alla lettera tutto quanto egli descrive con fervida fantasia e con scarso rispetto alla purezza della lingua italiana. Il contrasto tra Maggianico d'aspetto monastico e quello pulsante di vita mondana dopo l'invasione degli "Scapigliati" é per lo meno esagerato e la descrizione che ne risulta é paragonabile alla superficiale impressione di un cronista moderno in cerca di "colore"; neppure esatta é l'affermazione che egli fa di essere nato a Barco. In Ghislanzoni non dobbiamo mai cercare l'esattezza storica ma piuttosto lo stato d'animo che si era diffuso in quel felice momento che segnò innegabilmente uno straordinario progresso nell'aspetto e nella vita di Barco.
Alla lunga testimonianza del Ghislanzoni vogliamo aggiungerne un'altra breve molto breve ma molto significativa che lo stesso autore pubblicò in quel curioso periodico letterario da lui fondato ed intitolato "La Posta di Caprino". In data 31 luglio 1890 Ghislanzoni sotto il titolo di "Cronachetta di Maggianico" pubblica una finta corrispondenza di un certo Ermetico Sigla, pseudonimo dello stesso Ghislanzoni:
Carissimo Antonio
L'hanno chiamata l'Engadina di Lombardia questo bel paese ove tu sei nato e rare volte un battesimo é stato più giusto. Per me poi é qualche cosa di più che giusto...e di meno giusto. Mi spiego: Conosco l'Engadina e le preferisco Maggianico...sicchè sarebbe come dire che io, chiamerei l'Engadina: il Maggianico della Svizzera.... (sottolinea poi il fatto che il progresso moderno) non ha tolto a Maggianico tutto quel suo carattere di paesanità, direi quasi di vivezza patriarcale che lo ha reso tanto caro agli artisti, molti nomi illustri dei quali sono strettamente legati, cominciando dal tuo, alla storia dello sviluppo di questa plaga"(13).
Concludo i fasti della Scapigliatura a Maggianico con un episodio tipicamente "scapigliato" ed un ricordo necrologico per la morte di Amilcare Ponchielli.
L'episodio è narrato dal già citato Madini: "C'era in un viottolo dei dintorni di Maggianico uno di quei tabernacoli sacri, descritti dal Manzoni, con un dipinto che voleva dire un San Giorgio in atto di mirare e di tirare un gran colpo di lancia al dragone.
Una bella mattina i passanti trovano scritto sotto l'immagine del cavalleresco santo questi versi di Ferdinando Fontana:
San Giorgio, valente,
Che occide il serpente,
San Giorgio el ghe mira,
San Giorgio el ghe tira!
Ire di Dio per lo scandalo!Ma subito l'orribile dipinto fu cancellato e rinnovato gratis da Roberto Fontana, sommariamente ma con senso d'arte, a sollievo dei don Abbondi ohe passavano per di là."(14)
Il ricordo necrologio si riferisce, come si è detto, al Ponchielli che nel 1881 era stato nominato cittadino onorario dall'Amministrazione comunale di Maggianico. Quando nel 1886 giunse la notizia della morte del musicista avvenuta a Cremona, il Sindaco cogli Assessori di Maggianico scrissero alla vedova questa lettera: "Signora Teresina Brambilla ved. Ponchielli - La notizia della morte dell'illustre Maestro Ponchielli ha costernato questa popolazione, già orgogliosa di considerarlo suo. La Giunta Municipale convocata d'urgenza delibera di proporre al Consiglio che una delle principali vie del Comune porti il nome di A. Ponchielli a perpetua di lui memoria. Altamente compresa della immensa perdita fatta dalla famiglia, dalla nazione e dall'arte, porge alla S.V. il mesto tributo delle più sentite condoglianze.
Ing. Cav. Giuseppe Brini
Giovanni Todeschini
Ulisse Ghislanzoni
L'ampia citazione che abbiamo fatto delle opere di Antonio Ghislanzoni ci fa anche comprendere quante benemerenze egli abbia acquistato nel periodo storico più vivace di Maggianico e come sia doveroso dedicare una breve nota illustrativa a questa simpatica e caratteristica figura di letterato della Scapigliatura ottocentesca.
Antonio Giacomo Ghislanzoni nacque a Lecco il 25 Novembre 1824 (16) dal dottore "fisico" Giovanni Battista e da Teresa Cremona; fu battezzato nello stesso giorno.
La casata dei Ghislanzoni era di Barco e lo stesso padre di Antonio abitò a Barco sino a pochi anni prima della nascita del figlio. Lo scrittore che non ebbe mai nei suoi scritti eccessive preoccupazioni di esattezza storica, scrisse più volte che era nato a Barco e l'errore naturalmente fu ripetuto da altri (17).
Fu Seminarista a Lecco e di questo periodo non conservò un buon ricordo sia per la sua indole tutt'altro che incline alla severità della vita sacerdotale, sia forse, ed é lui stesso che crudemente lo afferma, per talune ombre che talvolta gravano sinistramente in ambienti particolarmente delicati, specialmente in momenti storici agitati da profonde passioni quale fu il primo quarto del secolo decimonono.
Nell' "Interdetto" che è una specie di prefazione al suo "Libro Proibito", scritto nel 1878, il Ghislanzoni afferma: "Perché tu abbia a formarti un concetto preciso dei miei principi religiosi, questo solo ti dirò, che io fui educato in un seminario, vale a dire in un istituto dove non si fabbricano che dei bigotti e degli atei. Mentirei ignobilmente se affermassi di appartenere alla prima categoria. Non mi dichiaro ateo nel senso letterale della parola ma siccome il mio Dio non assomiglia punto a veruno di quei tipi da gran babbau inventati per far paura alla gente, così me lo tengo tutto pel mio esclusivo consumo. Tu dirai che vi hanno degli atei i quali professano la più sana morale, ed io ne convengo; resta poi a vedere se quello che comunemente vien giudicato sano, non sia in qualche casa il più gran morbo del mondo" (18).
Irrequieto e romantico prima si iscrisse, a Pavia, alla facoltà di Medicina, poi lasciò l'anatomia per il teatro.
Debuttò a Lodi nel 1846 ed in seguito cantò in vari posti come baritono. "Una volta slanciato sul palcoscenico - egli scrive (19) - io m'investiva siffatamente dell'umorismo musicale di Donizetti e di Rossini da riuscire un attore comico esilarante e inappuntabile. E questo dico senza ombra di orgoglio, poiché ai miei successi di istrione io ci tengo pochissimo e quasi mi vergogno di ricordarli"
Partecipò alle Cinque Giornate di Milano e fuggito a Roma dopo la disastrosa fine della rivoluzione milanese, fu arrestato dalle truppe francesi ed imprigionato a Bastia per quattro mesi.
Passato in Francia riprese a cantare in mezzo a molte peripezie ed avventure finché, nel 1855, la sua carriera d'artista falli miseramente a Milano, dove, mentre cantava al Carcano, fu fischiato terribilmente perché ormai privo di voce.
Divenne coreografo, critico teatrale, giornalista e pubblicista fecondissimo.
Mordace e satirico, scrisse quasi sempre in tono o con scopo polemico, mostrando esuberanza e confusione grande d'idee, sdegnandosi contro ingiustizie e denunciando le infinite miserie del mondo teatrale e lo spettacolo triste di una nazione che raggiunta di slancio l'unità politica era ben lungi da quell'unità e grandezza morale per la quale i patrioti avevano combattuto e sofferto.
Il Ghislanzoni ebbe il merito di una grande onestà e di un sincero patriottismo per cui non poté adattarsi a far fortuna nell'agone politico né tanto meno nel campo letterario.
Della sua attività di fecondo scrittore ricorderò solo talune forme caratteristiche.
Fu epigrammista efficace ed io ritengo che sia questo il valore più duraturo della sua opera di letterato, perché i brevissimi componimenti poetici conservando un'agile freschezza esprimono con immediatezza e felicemente gli aspetti più crudi della sua epoca ed il fuoco polemico del suo animo, proprio allo stato nativo.
Di un candidato al Parlamento dice:
Di tutto parla
e nulla sa.
Al Parlamento
trionferà (20)
Contro la guerra franco-prussiana del '70 inveisce aspramente citando un brano di Victor Hugo in cui, tra l'altro, si dice:
"In molti casi l'eroe i una varietà dell'assassino":
Eroi, eroi!
Che fate voi?
Assassinate,
Voi desolate
Borghi e città;
Un vil bifolco
Che suda al solco
Val più di voi,
Birbe ed eroi!
Alla morte di Vittorio Emanuele II, da onesto repubblicano il Ghislanzoni commenta:
Morì Vittorio: al lugubre
Annunzio il popol tutto
Segni d'immenso lutto
Pel Sire estinto dié;
ognun cogli occhi in lacrime
S'udia esclamar stupito:
Fenomeno inaudito!
Fu galantuomo e Re.../
E' a tutti noto che fu librettista ricercato da Verdi, Cagnoni, Gomez, Ponohielli, Petrella, Catalani e Platania.
Letterariamente purtroppo le sue opere, se si eccettuano i migliori epigrammi, sono ben misera cosa, tuttavia almeno di un libretto, se non altro per motivi patriottici, bisogna far menzione, cioé quello dell'Aida, musicato da erdi e rappresentato nel 1871 in occasione dell'apertura del canale di Suez.
Molti romanzi scrisse il Ghislanzoni; di tutti questi uno venne di nuovo edito nel 1924 per la ricorrenza del centenario della sua nascita. Per questa edizione U. Cermenati scrisse una Prefazione che é certamente il saggio di maggior valore, per quanto molto sintetico, sulla vita e le opere di A. Ghislanzoni: (23)
Il romanzo pubblicato la prima volta nel 1883 è intitolato Abrakadabra. Questa parola di sapore negromantico é spiegata dal sottotitolo: Storia dell'avvenire ed infatti il libro pretende di saper predire come sarà il vecchio mondo nel 1977 anno in cui avverrà un cataclisma nel quale tutti gli uomini periranno eccetto due fanciulli alati, un maschio ed una femmina, dai quali deriverà un nuovo genere umano che purtroppo non sarà migliore del precedente.
Il facile profetismo e le manie umanitarie del secolo XIX, evidentemente ispirati al razionalismo filosofico di Voltaire ed alle fumose teorie sociali di Victor Hugo rendono stucchevole il romanzo che anche dal punto di vista letterario é molto scadente.
E' vivo là dove l'autore s'affida all'umorismo ed all'acre satira dei costumi e delle istituzioni del suo tempo; é quella stessa satira e quello stesso umorismo che, come già si é detto, vivificano i suoi rapidi epigrammi.
Divenuto vecchio Antonio Ghislanzoni si ritirò a Caprino Bergamasco vivendo in austera povertà, tanto che confessava mestamente in una sua lettera "Io vado invecchiando a Caprino. La mia vita é una cambiale in sofferenza. Mi approssimo ai settant'anni e devo scribacchiare per vivere"(24).
Triste confessione di un uomo vissuto onestamente e che accetta la povertà piuttosto che farsi cliente o servo dei potenti e dei fortunati.
Nella solitudine alpestre il vecchio e cocciuto montanaro volle fondare il suo ultimo giornale, "La posta di Caprino"; questo periodico a forma di album come allora si usava, è piuttosto una piccola rivista letteraria interamente compilata dal Ghislanzoni.
Nel primo numero il fondatore così espone il suo programma, rivelando fino all'ultimo il suo spiccato "animis" di acre polemista:
"La Posta di Caprino non è un giornale che nasce oggi. In altri tempi (ohimè remotissimi) ha fatto il suo ingresso nel mondo col titolo di "Straordinario". Poi ricomparve, nel 1860, ribattezzato in "Figaro"; quindi, nel 1865, si chiamò "Rivista minima" e "Petite Rèvue"; da ultimo (1876-1879) rivisse e morì allegramente col nomignolo di "Giornale Capriccio". Ora siamo arrivati all'ultima trasformazione e auguriamoci che abbia proprio ad essere l'ultima e la più prospera....Vogliamo saldare i conti! Ma... quali? Con chi? Lo si dice in due parole: coll'universo... Non vengo adunque a detronizzare monarchi, a scortecare ministri, a mangiar preti. Vengo a farmi iniziatore di una polemica onesta e geniale"(25).
Nei "Patti di Associazione" o condizioni di abbonamento vi è questa curiosa offerta: "A chi raccoglierà 10 Associati (o abbonati) verrà spedito in dono un dipinto ad olio di A.Ghislanzoni. Il ritratto dello stesso, parimenti da lui dipinto, a chi avrà raccolti 20 Associati". Chissà se ancora esiste qualcuno di queste inattese espressioni della facile versatilità del Solitario di Caprino?
L'ultima fatica letteraria di Antonio Ghislanzoni che valse dargli un rapido lampo di fama nel mondo letterario, fu la vincita di un concorso indetto dal "Corriere della Sera" nel 1893 per la miglior traduzione di una poesia del poeta inglese Alfredo Tennyson.
Quando l'ora silente in veste bruna
Intorno al mio guanciale i sogni aduna
Deh! Non mi richiamate,
Mute voci dei morti.
Si spesso avanti verso l'ima valle
A cui volsi le spalle,
Né verso il sole che non dà più luce....
Mé chiamate piuttosto, o silenziose
Voci, oltre il nulla, nell'etereo smalto
Della stellata, via
Che in alto splende, in alto, sempre in alto!(26)
La morte di Antonio Ghislanzoni, scrive il Cermenati, "fu crudele e straziante. Non si spense che dopo una lunga, atroce agonia... Qualche giorno prima di chiudere gli occhi per sempre e per comporsi finalmente nella pace, egli volle che attorno al suo letto si raccogliessero i bambini più poveri del paese, per offrire a manciate, gustose ciliege.
Con gli occhi bagnati di lagrime, stette a contemplare il quadro simpatico... amante dei deboli e degli innocenti, l'umorista, il Poeta morente, volle allietare le ultime sue ore col sorriso e la riconoscenza dei fanciulli... (prima di morire) ebbe ancora la forza di mormorare: voglio fiori, molti fiori con me, nella bara!"(27)
Vi é un altro particolare sulla sua morte meno sentimentale ma certo molto più serio dell'episodio delle ciliege e più confacente alla sua insofferenza polemica ed al suo schietto carattere, pronto ad accettare con trasporto la verità della Fede in cui era nato e che l' esuberanza di una tumultuosa vita aveva potuto offuscare ma non estinguere.
"Ai primi giorni di luglio volle che un suo vecchio condiscepolo di Seminario, il prof. don Gattoni di Varese, venisse a vederlo.
L'incontro con l'amico fu cordiale. Il poeta si confessò, poi chiese il Viatico. Erano le due del pomeriggio e si parlò di aspettare sino alla sera perché nessuno sapesse nulla. Ghislanzoni si oppose e fu proprio allora che uscì in quelle parole che il "Resegone"(giornale di Lecco) ha preso per motto: "Sarebbe poi bello che dopo aver lottato per la libertà avessimo perduto anche la libertà di essere cristiano" -" (28)
In omaggio a Ghislanzoni nel 1893 si inaugurò a Lecco un monumento opera dello scultore Bazzola di Milano e si pose una lapide commemorativa sulla casa ove egli nacque; purtroppo si fece anche molta retorica mentre non si è ancora innalzato il suo più bel monumento cioè una completa edizione di tutte le sue opere e del suo epistolario, con intendimenti di vera critica.
Se i molti scritti di Ghislanzoni sono per lo più di scarso valore letterario, sono invece una fonte ricca ed importante per la conoscenza di un periodo storico del quale il Ghislanzoni fu una delle figure più caratteristiche e più rappresentative.

Maggianico diede i natali anche ad un valente artista che fece parte dell'ultima Scapigliatura romantica milanese.
Fu costui Vincenzo Appiani, nato a Maggianico nel 1850 e che per circa quarant'anni insegnò al Conservatorio di Milano; fu grande amico degli altri musicisti che a Maggianico parteciparono ai convegni della Scapigliatura e specialmente di Ponchielli e di Gomez.
"Di Lui fu scritto che le sue mani fatate sapevano trarre dal pianoforte gli effetti di una piena orchestra e gli adagi più delicati e più commoventi"(29)
Sotto gli auspici di Vincenzo Appiani e col concorso degli altri celebri musicisti, molti concerti si tennero a Maggianico che fruttarono somme considerevoli alla beneficenza.(30)

MAGGIANICO E I PROMESSI SPOSI

Parte integrante di quelli "ampia costiera" ohe forma lo scenario vivo e vibrante della mirabile storia manzoniana, Maggianico é stato da taluno ritenuto nientemeno ohe il paese di Lucia oppure il paese del buon sarto, "la miglior pasta del mondo"(31)
Trascurando pure la fantasiosa attribuzione é tuttavia bello ricordare che Maggianico si adagia al cospetto del lago di Garlate nell' "ampia costiera sparsa di terre, di ville e casolari", accanto all'orgogliosa teoria dei luoghi manzoniani, anche se l'aspetto del suo paesaggio non sia più manzoniano, anche se le falde del Magnodeno siano state snaturate violentemente dalle costruzioni della barbarie moderna e dalle cave di pietrisco ora per lo più abbandonate e biancheggianti come tristi cimiteri delle bellezze naturali, anche se le limpide acque scaturite dai monti non gorgogliano più saltellando nel greto del torrente Civo, perché la sorgente venne deviata a scopi industriali.
Nella topografia del romanzo manzoniano Maggianico è ricordato perché vi abitava quell'Alessio, cugino di Agnese, uomo di prudente consiglio, riservato e, cosa rara, capace di leggere e scrivere.
Alessio rimane, per così dire, fuori scena ed è ricordato per la prima volta da Agnese quando propone a Lucia di abbandonare per sempre il paese, dopo la terribile notte passata al castello dell'Innominato, di riunirsi a Renzo in qualche posto sicuro e sposarsi.
Agnese, una volta ritrovato Renzo che si era messo nei pasticci a Milano, sarebbe andata a riprendere Lucia ospite di donna Prassede, per concretare le nozze. "Dunque, dice la buona donna, quando (Renzo) avrà trovato il bandolo di far sapere se é vivo, e dov'è, e che intenzioni ha, ti vengo a prendere io a Milano. Altre volte mi sarebbe parso un gran che; ma le disgrazie fanno diventar disinvolti; fino a Monza ci sono andata e so cos'è viaggiare. Prendo con me un uomo di proposito, un parente, come sarebbe a dire Alessio di Maggianico; ché, a voler dir proprio in paese, un uomo di proposito non c'è: vengo con lui..."
Ma Lucia svela alla stupefatta madre il voto fatto ed allora il cugino Alessio, l'uomo prudente e oapaoe di scrivere, viene proprio a proposito per comunicare a Renzo che ormai le nozze sono rimandate per sempre. "Quando saprete dov'è - dice Lucia alla madre - fategli scrivere, trovate un uomo....appunto vostro cugino Alessio, che é un uomo prudente e caritatevole, e ci ha sempre voluto bene, e non ciarlerà: fategli scrivere da lui la cosa com'é andata, e che metta il cuore in pace..."(32)
Tuttavia quella triste lettera, Alessio di Maggianico non poté scriverla perché le due donne non sapevano dove si trovasse il fuggiasco Renzo, il quale però trovò modo di scrivere lui per primo, per cui appena la lettera arrivò inaspettatamente a destinazione "Agnese trottò a Maggianico, se la fece leggere da quell'Alessio suo cugino; concertò con lui una risposta, che questo mise in carta".
E cosi Alessio divenne "il segretario d'Agnese", il suo "turcimanno" cioè l'interprete "per vie di perifrasi" dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, le cui lettere torturarono a lungo il povero Renzo che non riusciva mai ad "aver la chiave d'un così strano mistero"(33).
E di Maggianico non si parlerà più esplicitamente nel grande romanzo ma rimarrà presente ogni qual volta apparirà allo sguardo estasiato del lettore "l'ampia costiera"sparsa di terre, di ville e casolari", come apparve a Renzo quando, alla fine, dopo aver lasciato con gioia e commozione il Lazzaretto ed aver camminato una notte intera, all'alba "si trovò alla riva dell'Adda e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il paese d'intorno. C'era dentro il suo; e quel che sentì, a quella vista, non si saprebbe spiegare. Altro non vi so dire, se non che que' monti, quel Resegone vicino, il territorio di Lecco, era diventato tutto come roba sua"(34).


NOTE AL VI° CAPITOLO
l) - Archivio parr. di Maggianico, Liber Chronicus pag. 20
2) - C.Cantù - Grande Illustrazione del Lombardo Veneto, Milano 1860 vol. III pag.976
3) - c.s. e M.G. Guastalla - Il dipartimento della Montagna con capoluogo Lecco - Como 193?
4) - G. GARDINI - Il Quarantotto a Lecco, Lecco 1948 pag.XV
5) - CANTU' IGNAZIO - Le vicende della Brianza e dei paesi circonvicini - Milano 1954 pag. 199
6) - G. GARDINI c.c. pag.47
7) - c.s. pag.XVI
8) - "Belledo - Bisogna dire avesse per l'addietro importanza maggiore giacché dà nome al Comune, il cui primato è ora disputato da Maggianico" (Cantù - Grande Ill. s.o. pag.976)
9) - Visita del Card. Federico Borromeo del 1608 cit. nel prec. capitolo dove si ricorda i possedimenti del "Communis Barchii"
10)- Andrea Luigi Apostolo, Lecco ed il suo territorio - s.c. pag.61
11)- P.MADINI - La Scapigliatura milanese - Milano 1929 pag.172-173
12)- A.GHISLANZONI - Capricci Letterari, Caprino Bergamasco 1886 pagg.13-44
13)- La Posta di Caprino - Giornale epistolario di un vecchio Romito - Lecco Tip.A.Rota - Bimestrale - Il primo numero è del 15 luglio 1890, l'ultimo del 3 Dicembre 1892
14)- c.s. pag.173
15)- F.SPREAFICO Amilcare Ponohielli in "Paesi manzoniani"- Lecco - Novembre 1934
16)- E non il 25 Aprile come si legge nell'Enciclopedia Treccani e nel Dizionario delle Opere e degli Autori
17)- "A.G. nacque a Lecco come ne fanno fede i registri della parrocchia ove si legge che, ecc.., quando il G. venne al mondo i suoi genitori avevano già lasciato Maggianico per stabilirsi a Lecco e precisamente nella casa N° 25 dell'attuale via A. Stoppani" cfr. Lecco e Ant. Ghislanzoni - Numero unico 19 Nov. 1893
18)- A.G. Libro proibito - Milano 1872
19)- Dalla prefazione all'edizione del 1924 del romanzo Abrakadabra
20)- Libro Proibito, s.c. pag.54
21)- c. s.
22)- c.s. pag.85 - In uno dei suoi più feroci epigrammi anticlericali il G. lancia un'accusa grave ai preti "La pederastia è un vizio da preti, da sagrestani e da paolotti... I semi del brutto vizio si spargono nel mondo da un luogo che appunto per questo fu denominato Seminario." - c.s. pag.103 nota 16; ed ecco l'epigramma: Don Natale: In Dio non crede - In nulla ha fede - Pur don Natale E' clericale - Che mai lo lega - Alla congrega - Turpe e nefasta? - E' pederasta. - E' lecito il sospetto che l'anticlericalismo di cui era imbevuto largamente, lo spingesse a scandalistiohe esagerazioni, mal vezzo del peggior giornalismo che gli era del resto piuttosto gradito. Eppure era contemporaneo a lui un sacerdote lecchese pio e non certo bigotto, anzi nutrito d'alta sapienza scientifica: Antonio Stoppani che fu stimato insegnante proprio in uno dei Seminari milanesi.
23) - Stampato a Milano
24) - Cermenati s.c. nella Prefazione
25) - cfr. -Rota 13
26) - A.BLENGINI I1 Romita di Caprino, Calolzio 1893 pag.27
27) - Cermenati s.c.
28) - POZZOLI U. Frammenti di vita lecchese Lecco 1932 pag. 230
29) - PERSI G.P. Biografie lecchesi in "Rivista di Lecco" dic.1927
30) - Madini s.c. pag.174
31) - cap. XXIV
32) - cap. XXVI
33) - cap. XXVII
34) - cap. XXXVII

CAPITOLO VII°
LE CHIESE DI MAGGIANICO NELLA LUCE DELL'ARTE

E' nobile vanto per gli abitanti di Maggianico il possedere delle chiese, dei quadri religiosi e perfino dei mobili per sacristia, che sono fra i più belli del lecchese.
Nei capitoli precedenti abbiamo già accennato a talune chiesette scomparse che qui ancora ricorderemo, volendo tracciare un quadro completo dei monumenti scomparsi e di quelli che ancora esistono.
Molto interessante dal punto di vista artistico doveva essere la chiesetta di S. Ambrogio con pitture del XIV o XV secolo, che sorgeva in località chiamata Villatico, che venne visitata da san Carlo e dal card. Federico Borromeo e che oltre a ricordare i possedimenti degli antichi arcivescovi di Milano, probabilmente ricordava la Confraternita dei Crocesignati sorta per combattere le eresie medievali.
Sconsacrata e diruta tuttavia conservava nel 1855 alcune pitture sulla facciata. Oggi forse é in parte incorporata nelle case d'abitazione della frazione chiamata ancora Sant'Ambrogio (1).
L' oratorio della Beata Vergine Maria "de Gagianico" é ricordata negli Atti della Visita del 1608 compiuta dal card. Federico Borromeo; mancava del frontespizio e doveva essere molto modesto. Nessun'altra memoria si ha di questo scomparso oratorio.(2)
Un documento del 1563 ricorda l'Oratorio di San Rocco "alla foresta" con queste parole: "Vi é una capella alla foresta che si domanda Santo Rocho la qual dicono non haver niuna dote et si serra con chiavasura ma non é sicura et dicono tal capella havervi uno calici et uno paramenta; vi é ancora la campana" (3).
Abbiamo già accennato che la chiesetta di San Rocco (solo qui detta "alla foresta" mentre in seguito é collocata a Barco) ricorda probabilmente la peste che infestò il milanese nel 1524, peste portata dalle truppe francesi.
Pochi anni dopo e precisamente nel 1566 san Carlo visitando la Vicinanza di Ancillate, oltre alla "capella curata di S. Andrea" vide e descrisse gli Oratori di S. Ambrogio e di San Rocco; di questo si osserva: "Fu visitato il detto Oratorio di S. Rocco che è abbastanza bello ed ornato. Non à reddito". (4) Da queste poche parole se si ripete la constatazione che l'Oratorio non possedeva beni immobili si aggiunge però che aveva delle evidenti note di venustà.
La chiesetta col passare degli anni non migliorò la sua modesta costruzione tanto che nel 1608 il card. Federico Borromeo ordinò che si mettessero le porte in modo da tenerla chiusa; inoltre dava due anni di tempo perché venisse radicalmente restaurata, allungandola e completandola con la facciata esterna e la decorazione interna.(5)
Ma allorché scoppiò la terribile peste del 1630 allora il popolo ricorse con rinnovata fervore al patrocinio di san Rocco per essere preservato dal famoso contagio. Il 9 febbraio 1630 il Console ed un gruppo di homines cioé di capi famiglia di Barco, tutti della casata Ghislanzoni, in pubblica adunanza e con atto notarile donarono alcuni beni immobili alla chiesa di san Rocco che era sempre rimasta senza "dote", costituendo così il diritto di patronato sovra di essa; i redditi dei beni dovevano servire "in perpetuum" affinché il parroco di Maggianico facesse celebrare ogni anno quarantotto Messe ed inoltre tre Messe per la festività della Madonna e tre per la festività di S. Rocco e S. Sebastiano (6).
Questo scomparso Oratorio di S. Rocco e S. Sebastiano viene così descritto nel 1794 in occasione della visita pastorale dell'Arcivescovo Filippo Visconti: "Molto piccolo e malamente coperto da rozze tavole di legno sconnesse eccetto la Cappella maggiore che appare in buon stato e decorata da antiche pitture (antiquis picturis nitentem) (7).
L'ultima delle chiesette scomparse é l'Oratorio di San Carlo, S. Giovanni Battista e S. Giuseppe, che già esisteva a Barco nel 1622 (8) e che testimonia della grande fama acquistata da S. Carlo morto nel 1584 e canonizzato nel 1610. Questo Oratorio, eretto da Giuseppe e Giovanni Battista Ghislanzoni che vi avevano istituito una Capellania ed era dotato di molti beni immobili, é ricordato ancora nel 1663 (9) e nel 1715 (10).
Rovinato e cadente venne non molti anni dopo restaurato dal parroco don Giovanni Battista Conti che poté benedirlo, consacrandolo di nuovo al culto, il 4 Aprile 1773 (11). Ciò non impedì che prima dello spirare del secolo esso scomparisse definitivamente.

Chiese esistenti

La chiesetta di S. Antonio da Padova venne edificata nel 1667 da Pasino Manzoni che il 5 Agosto dello stesso anno inoltrava domanda alla autorità religiosa perché fosse concesso al Prevosto di Lecco la facoltà di benedirla (12); venne pure concesso di celebrare una S. Messa quotidiana. (13)
Nella relazione della visita pastorale fatta nel 1794 dall'Arciv. Filippo Visconti venne descritta in elegante latino; é pure ricordato che per la festa del Patrono era concessa l'Indulgenza plenaria da rinnovarsi ogni sette anni (Breve pontificio del 4 Maggio 1744)(14).
Oggi la chiesetta di S. Antonio é ancora oggetto di una sentita devozione popolare e in essa viene solennemente celebrata l'annuale festa del Santo Patrono.

La nuova chiesa di san Rocco
Non sappiamo dove sorgesse il vecchio piccolo Oratorio di S.Rocco con le sue vivaci pitture a cui era legato il ricordo di contagi pestilenziali nei secoli XVI e XVII.
Probabilmente sorgeva dove al principio del secolo XIX i Ghislanzoni di Barco eressero una chiesa nelle solenni forme architettoniche del trionfante neoclassicismo.
Anche questa volta il culto a san Rocco riprese vigore a causa di un contagio, quello del colera, che infestò la Lombardia nel 1836.
Sotto l'incubo del grave pericolo il popolo di Maggianico si rivolse fiducioso al vecchio santo degli appestati e fece voto di celebrare solennemente le SS. Quarantore ogni anno nell'antica chiesetta di S. Rocco.
La casata dei Ghislanzoni volle fare ancora di più, forse perché il colera, che tanto aveva imperversato nel lecchese, non aveva infierito a Maggianico. Di fatto nel 1839 i Ghislanzoni di Barco chiesero al celebre architetto Bovara il disegno e fecero costruire la sontuosa chiesa in una posizione veramente felice (15); e già nel 1844 dalla torre campanaria le festanti note dei sacri bronzi s'univano al coro degli altri campanili della "ampia costiera".

La chiesa parrocchiale di sant'Andrea Apostolo

L'antica chiesa di sant'Andrea costruita in tempi lontani non esiste più da oltre tre secoli.
Il primo ricordo documentario é del 1550 ed é una testimonianza della grande povertà degli abitanti di Maggianico in quei tempi, causata da un lungo periodo di rovinose guerre.
Un esposto del sacerdote Crisforo de Isachis, che allora funzionava in essa per incarico del prevosto di Lecco, ci attesta che "ne la detta giesa non si teni (tiene) il Corpus Domini (il Santissimo) perché gli huomini sono tanto poveri che non possono patire tale spesa". (16)
Nel 1566 venne San Carlo a Maggianico, vide la chiese e la trovò "satis pulcra et bene tenta"(17). A san Carlo dissero che l'altar maggiore era già consacrato(18) e questa notizia ci assicura dell'antichità della chiesa e che essa era da tempo assiduamente frequentata.
San Carlo diede poche prescrizioni per la chiesa di S. Andrea, delle quali le più importanti si riducevano al restauro del pavimento (aptetur pavimentum. Fiat coelum ecclesiae) ed alla costruzione del soffitto(19). La chiesa quindi era a capriate a vista, fatto allora molto comune nell'architettura sacra.
Nel 1569 venne a visitare la chiesa un delegato di San Carlo e la descrisse così: Lunghezza 38 passi, larghezza 14 (equivalgono a circa m. 16 x 6). Le pareti racchiudono una sola navata divisa da quattro arcate. Ha quattro cappelle ognuna con l'ancona del santo dipinta. Il tetto é di pietre e nell'interno chiuso da assi. Il campanile con due campane, si innalza accanto all'altar maggiore, dal lato dell'epistola, e le corde pendono dal soffitto (suptus fornicem). L'altar maggiore é di legno con figure scolpite e dorate; a sinistra vi è l'altare della Vergine. Vi é inoltre la Cappella di San Pietro Martire con la sua ancona e quello di Sant'Antonio pure con la sua ancona. Di questo altare sono patroni i Ghislanzoni di Barco".
La descrizione termina osservando che la chiesa é "molto angolata" (nella parte anteriore) e perciò indecente; dovevano quindi gli abitanti, al più presto demolire la parte anteriore e riedificarla per correggere tale irregolarità iconografica (20).
Le cappelle laterali invadevano la navata, per cui il Card. Federico Borromeo, in seguito, ordinerà che venissero fatte retrocedere in modo da non sporgere dal muro perimetrale.
Da questa descrizione e da altre che seguirono fino alla visita del card. Federico Borromeo abbiamo una sufficiente idea della struttura architettonica della scomparsa chiesa di S. Andrea che doveva essere di stile gotico, con quattro arconi a sesto acuto; l'unica porta della facciata e era preceduta da un portico costruitovi dopo che era stata adibita come chiesa parrocchiale, perché, nota il card. Federico, tale portico serviva per il rito battesimale (21).
Mentre san Carlo aveva affermato che la chiesa di S. Andrea era "abbastanza bella", nelle descrizioni posteriori si insiste sempre più nel dire che era indecente. Penso che in realtà la costruzione gotica primitiva per quanto dall'aspetto rozzo, doveva avere caratteri d'arte; ma il trionfo del gusto barocco avvenuto specialmente al tempo del secondo Borromeo, fu certamente la causa principale della severa qualifica di "indecente" attribuita alla vecchia chiesa. Non poteva dirsi tale una chiesa con un dossale d'altare (ancona) rinascimentale di legno scolpito e dorato, certamente simile a quelli che ci sono rimasti per i polittici del Ferrari ad Arona, a Novara ed a Busto Arsizio. Conteneva inoltre due altri polittici, uno ancora dello stesso Ferrari e l'altro del Luini, che splendevano quasi nuovi con la freschezza dei loro smaglianti colori.
Bisogna riconoscere che il giudizio di San Carlo, non eccessivamente preoccupato da preconcetti estetici come invece sarà il nipote card. Federico, fu il più saggio ed il più giusto, a riguardo della vecchia chiesa di S. Andrea.
Di fatto sia per motivi estetici ed anche per la giusta preoccupazione di dare alla parrocchia una chiesa capace di contenere comodamente l'accresciuta popolazione, il card. Federico Borromeo in seguito alla sua visita del 1608, diede ordine di costruire la nuova chiesa parrocchiale che é appunto quella che ancor oggi accoglie i fedeli di Maggianico.
Il solerte arcivescovo, come era sua consuetudine, volle dare anche il disegno della nuova chiesa; dice infatti il Decreto della Visita Pastorale: Ecclesia aedificatur iuxta delineationem in hac visitatione appositam, cioé, si edifichi la chiesa conforme al disegno contenuto nel decreto della Visita (22).
I fedeli di Maggianico obbedirono docilmente al Decreto ed unanimi raccolsero fondi ed iniziarono la costruzione che nel 1627 era ancora imperfetta come viene attestato da una domanda fatta dagli "uomini" al Vicario Foraneo di Lecco per avere il permesso di vendere del terreno: "Non havendo gli huomini della terra di S. Andrea pieve di Lecco, huomini servi di V.S.Ill.ma, per la sua povertà sin hora potuto ridurre a perfetta la loro nuova chiesa et essendosi rappresentata occasione di far vendita di due pertiche, ecc." (23).
La vecchia chiesa non venne per allora distrutta perciò la nuova sorse in altro luogo, per quanto poco lungi; in una lettera del 1762 il parroco di Maggianico chiedendo alla R.Giunta Economale il permesso di fondere le nuove campane usando per la spesa le offerte raccolte, ci indica dove sorgeva la vecchia ed ormai da tempo dissacrata chiesa di S. Andrea: Eccellenza La vecchia torre delle campane della chiesa Parrocchiale della Comunità di Belledo con Maggianico e Barco resta unita alla vecchia abbandonata Chiesa e disgiunta mediante strada, roggia e piazza della nuova chiesa che nello scorso secolo fu fabbricata in grandezza corrispondente alla cresciuta popolazione, ecc."(24)
Nel 1631 proprio appena cessato l'incubo della peste, la nuova chiesa era terminata ed al 30 Novembre, festa di S. Andrea, riceveva la benedizione rituale. In quello stesso giorno di grande festa per i fedeli, faceva l'entrata il nuovo parroco don Carlo Gorio che lasciò memoria del fatto: "Sia noto che la nuova parrocchiale di S. Andrea fu benedetta dal Prevosto e Vicario Foraneo di Lecco Filippo Cattaneo, con licenza del Vicario Generale della Diocesi, il giorno 30 Novembre, festa di S. Andrea, dell'anno 1631; nello stesso giorno io, sacerdote Carlo Gorio, ho preso il possesso della detta chiesa"(25).
Nella sua semplice linea architettonica, ispirata ad un sobrio barocco, la nuova chiesa piacque ai parrocchiani che avevano fatto tanti sacrifici per edificarla; circa un secolo dopo la sua costruzione il card. Pozzobonelli in elegante latino descriveva e lodava la chiesa di S. Andrea da lui visitata il 16 Giugno 1746; egli ne sottolineava l'armoniosa ampiezza e lo slancio verticale notevole della linea architettonica(26).
Verso la metà del sec.XVIII si innalzò il nuovo campanile e nel 1777 venne fuso il concerto delle cinque campane per opera di Giacomo Crespi e di Giovannino suo figlio, fonditori di Crema. Nel 1784 si dovette rifondere la 4° campana perché era rotta.
I sacri bronzi furono dedicati alla Vergine, a S. Andrea, a S. Antonio, a S. Carlo ed a S. Rocco, che sono i Santi più venerati a Maggianico (27).
Quantunque dotato dalle squillanti voci delle campane, il campanile non era ancora finito; fu nel 1778, proprio quando ormai il fastoso stile architettonico dei secoli XVII e XVIII stava per chiudere le sua parabola ingentilendosi con la raffinata eleganza del barocchetto fiorito, che il campanile nuovo di Maggianico venne abbellito con le preziose stuccature che ancor oggi gli conferiscono un carattere di particolare grazia. Il parroco Gian Francesco Gattinoni ci ha lasciato memoria di questo fatto: "Fu deliberato per pubblico incanto (di vendere) coll'assistenza del Sig. Regio Cancelliere Giacomo Ghislanzone dalli Signori Deputati dell'Estimo di gusta Comunità, la vecchia torre a favore di Francesco Manzone quondam Giacomo al prezzo di L.235, dico duecentotrentacinque, con patto di rimettere il detto Manzone a sua spesa la casa parrocchiale e la chiesa vecchia nell'essere in cui si trova, detto danaro ha servito per la stuccatura della lanterna del nuovo campanile."(28)
Da questa testimonianza si rileva anche che la vecchia chiesa di S. Andrea esisteva ancora alla fine del sec. XVIII.
Nel 1790 un lapicida di Varenna, tale Antonio Conca, fece il bel pavimento a scaglioni bianchi e blu di marmo che ancora mantiene il suo nobile decoro (29); allora nel pavimento si aprivano cinque sepolcri, uno per i sacerdoti, due per la Comunità di Barco e di Maggianico, e due per le famiglie dei Ghislanzoni e del barone Giovanni Cattaneo(30).
E' risaputo che solo per il decreto napoleonico andato in vigore nel 1806 nel Regno Italico, la sepoltura dei cadaveri dovette farsi non più entro od accanto alle chiese, ma bensì nei Cimiteri posti fuori dell'abitato; perciò anche i cinque sepolcri che si aprivano nel pavimento della chiesa parrocchiale scomparvero per sempre.
Del secolo XVIII è pure un prezioso mobile in noce che occupa un'intera parete della piccola sacristia. Riccamente scolpito e molto ben conservata la bellissima opera dovuta ad artigiani lecchesi o forse anche brianzoli, é certamente un prezioso cimelio artistico che superbamente arreda la chiesa di Maggianico.
L'altare in legno scolpito nell'età del Rinascimento, proveniente dalla vecchia chiesa assieme ai preziosi dipinti, che ancora nel l794 l'arciv. Filippo Visconti chiamava "valde conspicuum" cioé molto bello(31), venne distrutto e sostituito dall'attuale altare in marmo con decorazioni bronzee di stile naturalmente neoclassico e benedetto assieme al coro ligneo (l'attuale) nel 1811. (32) A.L. Apostoli, più volte citato, scriveva nel 1815 che la chiesa di Maggianico é "decorata di un ricco altar maggiore, disegno e fattura di artisti lecchesi"(33); purtroppo non ci dice chi fossero questi artisti lecchesi; se l'altare fu rinnovato rimasero però intatte le due preziose balaustre in marmo, scolpite al tempo del barocchetto fiorito, cioè verso la fine del secolo precedente.
Nel 1832 in occasione del restauro alla pala del Luini fu costruito il nuovo altare della Madonna su disegno dell'architetto Giuseppe Bovara e scolpito in marmo da Bernardo Argenti; per quanto non documentato è evidente che anche l'altare di S.Antonio che accoglie il trittico di Gaudenzio Ferrari e che è nell'identico stile neoclassico di quello della Madonna, sia da attribuirsi agli stessi artisti.(33)
Negli ultimi anni del secolo XIX il pittore Guarenghi dipinse a fresco sulle pareti della chiesa gli episodi della vita di Gesù e di S. Andrea che ancora mostrano il loro modesto valore artistico.

I quadri di Maggianico

La chiesa parrocchiale di Maggianico vanta un cospicuo numero di quadri dipinti da due famosi pittori: Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari.
Ma poiché parte dei dipinti acquistati dai parrocchiani al principio del secolo XVI non si trovano più nella chiesa di S. Andrea é necessario stabilire con esattezza l'elenco di tutti i quadri che originariamente abbellivano gli altari della chiesa parrocchiale.
Fortunatamente possiamo stabilire sulla scorta di documenti sicuri tale interessante elenco.
Nel 1608 il Card. Federico Borromeo nella sua Visita già più volte ricordata, afferma che sull'altar maggiore di S. Andrea vi era un polittico formato dai seguenti quadri: al centro, in alto, Cristo risorto con alla destra S. Rocco ed alla sinistra S. Cristoforo col Bambino; in basso: S. Andrea al centro ed ai lati S. Pietro con S. Bernardino e S. Ambrogio con S. Antonio. Questi quadri (14) raccolti in fastoso polittico da una cornice di legno dorato, evidentemente di gusto rinascimentale, non esistono più a Maggianico. Il card. Pozzobonelli ricordando nel 1746 questo polittico, che allora non si trovava più sull'altar maggiore ma appeso alla parete dopo il Battistero, lo attribuisce al Luini "opus ut fertur celeberrimi Luvini"(32); in realtà il prezioso ed ormai perduto polittico era di Gaudenzio Ferrari.
Il card. Pozzobonelli attesta anche che all'altare a sinistra, dedicato alla Madonna del Rosario, oltre al polittico con la Vergine ed i Santi, vi erano quindici quadretti raffiguranti i Misteri del Rosario. Questi quadretti, di cui non conosciamo l'autore, andarono quindi perduti dopo il 1746 e probabilmente quando l'altare assunse la linea architettonica datale dall'architetto Bovara.
Quando ed in che modo il prezioso polittico del Ferrari venne sottratto dalla chiesa di Maggianico?
Si é già ricordato che durante i primi anni della dominazione napoleonica la parrocchia di Maggianico venne sopressa; per interessamento purtroppo di un celebre artista italiano, Andrea Appiani, allora Commissario delle Belle Arti, il polittico venne tolto dalla chiesa ed i quadri andarono dispersi; due finirono a Londra e gli altri non sappiano se ancora esistono e dove si trovino.
Credo utile pubblicare le lettere che documentano il gesto poco accorto di Andrea Appiani, il quale approfittando di un momento di grave incertezza dovuta alla soppressione della parrocchia, usò ogni mezzo per indurre la Comunità di Maggianico a cedere i preziosi quadri.
"Repubblica Italiana - Milano 22 Ottobre 1803 anno 2° - Al cittadino Ministro dell'Interno - Il Commissario delle Belle Arti Membro dell'Istituto Nazionale - Ho l'onore di prevenirvi, Cittadino Ministro, che mi è finalmente e felicemente riuscito d'indurre i Compadroni a cedere i quadri posti nella chiesa parrocchiale soppressa di Maggianico al Governo, alla condizione di contraccambiarli con un altare di marmo in opera e con un quadro da altare.
I quadri predetti sono de' due celebri Professori Gaudenzio Ferrari e Bernardino Luini, cioé sette del primo e sei del secondo. Siccome interessa moltissimo di dare esecuzione a questo contratto alfine di non perdere i Capi d'Opera de sì degni maestri, mentre possono contribuire moltissimo all'incremento delle Belle Arti; così é necessario, Cittadino Ministro, che vi degniate ordinare all'Agente dell'Economato di dare il promesso altare di marmo, che si può avere con facilità tra quelli che appartenevano alle chiese sopresse, riservandomi quanto al quadro di sceglierlo tra que' di seconda classe per non pregiudicare alle Arti. Aggradite, vi prego, Cittadino Ministro, le assicurazioni del mio profondo rispetto. Il Commissario delle Belle Arti - Appiani Andrea"
"Repubblica Italiana - Milano 23 Gennaio 1804 Anno 3° - Al cittadino Ministro degli Affari Interni - Il Commissario delle Belle Arti dell'Istituto Nazionale - Si prega di rinnovare le premure presso il Ministro delle Finanze perché dia gli ordini opportuni per avere l'Altare di marmo che dee darsi in compenso pei quadri della Comune di Maggianico. Ebbi già l'onore di parteciparvi, Cittadino Ministro, che ad oggetto di ritirare i quadri da me ottenuti dalla Comune di Maggianico era necessario eseguire l'apposta condizione di dare in compenso,un Altare di marmo in opera per quella chiesa e vi pregai d'interessare il Ministro delle Finanze per averlo fra i tanti che vi sono nelle chiese soppresse. E' già decorso qualche mese, da che vi presentai questo rapporto, ma non ne é ancora veduto il risultato. Ora siccome importa moltissimo, che tali quadri sia trasportati da Maggianico e collocati nell'Accademia Nazionale di Brera, così credo mio dovere di pregarvi un'altra volta rinnovare le Vostre premure presso il predetto Ministero, affinché voglia compiacersi di dare gli ordini opportuni per la scelta dell'altare in questione, onde possa una volta aversi la soddisfazione di vedere fatto il trasporto de' detti quadri. Ho l'onore di rassegnarvi il mio profondo rispetto. - Il Commissario delle Belle Arti - Andrea Appiani"
"Repubblica Italiana - Milano li 9 Settembre 1804 anno 3° - Il Commissario delle Belle Arti - Al Ministro degli affari Interni - Fui già prevenuto con Vostra 15 Febbraio N° 2056 che l'Economato Generale per trovare l'Altare di marmo destinato alla Chiesa di Maggianico in contraccambio de' tredici quadri, di cui fu convenuto l'acquisto per la Nazione, aveva commesso le ricerche presso i Sub-Economati o Delegazioni, essendo state inutili quelle dell'Economato stesso presso le corporazioni soppresse. Passato ora uno spazio sufficiente per gli opportuni riscontri, credo mio dovere d'interpellarvene del risultato. Se ancora queste diligenze fossero riuscite vane, ritenuto sempre il merito particolare de' predetti quadri onde far parte della collezione necessaria per un'Accademia Nazionale, e che l'acquisto dell'altare in contanti esigerebbe la somma di Lire due mille quattrocento, parmi, Cittadino Ministro, che si potrebbe trattare questo affare con quei di Maggianico in denari, lasciando loro il pensiero di comperare il richiesto altare. In attenzione delle vostre savie determinazioni su questa proposizione ho l'onore di protestarvi tutto il rispetto. - Il Commissario delle Belle Arti - Andrea Appiani"
La documentazione sui quadri di Maggianico finisce così.
L'Appiani parla di sette quadri del Ferrari e sei del Luini; la documentazione evidentemente non é completa ma é facile arguire che i sette quadri del Ferrari formavano il polittico un tempo sull'altar maggiore in legno e che il card. Pozzobonelli trovò appeso sulla parete della chiesa perché i fedeli di Maggianico volevano demolire il vecchio altare per sostituirlo con uno nuovo, come risulta anche dal carteggio Appiani.
In realtà i quadri del Luini non furono venduti ed ora si trovano sull'altare della Madonna, mentre purtroppo quelli del Ferrari non finirono presso qualche Pinacoteca Nazionale per "l'incremento delle Belle Arti", come pomposamente affermò l'Appiani, ma forse furono sottratti per favorire qualche privato. E' certo che due quadri e cioè il Cristo Risorto e S. Andrea, che stavano al centro dei due ordini del Polittico, si trovano attualmente alla National Gallery di Londra (con N° 1465 e 3925 di Catalogo) assieme ad un'opera giovanile del Ferrari raffigurante l'Annunciazione (37).
Degli altri cinque quadri del polittico di Maggianico i più recenti Cataloghi delle opere del grande artista di Valduggia, non fanno alcun cenno e, se ancora esistono, sono in possesso di qualche collezionista privato.
Nel 1831 il polittico del Luini che era gravemente deteriorato, dietro consiglio del Bovara e del pittore Diotti dell'Accademia di Bergamo, venne restaurato dal restauratore Marco de Leida; un nuovo e più sapiente restauro venne compiuto dal restauratore O. Della Rotta quando il polittico venne portato a Como nel .... per la Mostra delle opere di B.Luini.
Lo stesso Marco De Leida restaurò il trittico del Ferrari nel 1831-32(38).

Valutazione estetica e critica storica dei quadri

L'arte del Luini venne giudicata sfavorevolmente da taluni critici moderni, specialmente dal Berenson(39); in lui si salverebbe solo quel tanto che mutuò dal Bramantino, propagatore del decorativismo di Bramante. Nel Luini poi il modellato leonardesco, si risolverebbe in "cromolitografiche leccature".
Ma la critica del Berenson in rapporto al Luini, trova una recisa smentita proprio nel polittico di Maggianico dove dalla figura della Madonna promana un dinamismo interiore serenamente sentito e non annullato dall'armoniosa e pacata espressione del volto, dal modellato leonardesco delle mani, dal vivace contrasto di luci ed ombre nelle pieghe della veste che ricade sul trono con effetto di volumi creanti l'equilibrio statico della figura nel contrasto dinamico delle forme.
E siccome il modellato del nudo del S. Sebastiano é stato giustamente riconosciuto strettamente affine alle varie figure del Cristo nella cappella di San Giorgio al Palazzo di Milano, come pure il S. Andrea ed il S. Antonio preannunciano altre figure della stessa cappella (40), noi possiamo quindi stabilire una datazione, sia pure approssimativa, per il polittico di Maggianico. L'affresco di San Giorgio è del 1516 e perciò il polittico di Maggianico sarebbe da collocarsi nel periodo in cui il Luini lavorava per Chiaravalle, per la Certosa di Pavia e per il Monastero di Morimondo, periodo che va dal 1512 al 1515; si adatta questa datazione alle particolari condizioni di ambiente in cui si trovava la comunità di Maggianico, comea a suo luogo abbiamo ricordato.
Dobbiamo notare che l'Annunciazione in alto col cartello recante la scritta "Ave Maria" venne aggiunta dopo perché manca nella precisa descrizione fatta dal card. Federico Borromeo e perché l'Appiani riferendosi a questo polittico parla sempre di sei quadri. Sorge il dubbio che quest'Annunciazione, dalle forme pittoriche coeve al Luini, sia stata aggiunta per adattare il polittico all'inquadratura del Bovara che si preoccupò solo di rispettare i canoni dell'architettura classica. Il fatto si verifica anche per il polittico del Ferrari, cui venne aggiunto una predella estranea.
Notiamo infine che non si può parlare di donazione del quadro fatta dai nobili Ghislanzoni in seguito alla peste del 1630 (41); perché del polittico si ha la documentazione sin dal secolo precedente e perché la Cappella della Madonna era legata all'antica Confraternita della B. Vergine.
I Ghislanzoni semmai erano patroni della Cappella di S. Antonio.
Gaudenzio Ferrari che il Vasari definisce "pittore eccellente, pratico ed espedito" subì in gioventù l'influsso di Macrino d'Alba ed ebbe poi per Maestro il Perugino, alla cui scuola iniziò anche Raffaello la sua luminosa operosità di artista. Risentì Gaudenzio pure l'influsso della scuola leonardesca - come il Luini - ed indirettamente del Bramante mediante contatti col Bramantino; la sua arte maturando rivela spiccatamente il carattere di pittura settentrionale e lombarda, serena e luminosa, animata da "impetuosa energia"(Berenson) (42). Maggianico purtroppo perse quella magnifica pala che si trovava sull'altar maggiore sin verso la metà del settecento e che doveva allinearsi dignitosamente accanto alla pala di Morbegno, a quella di Casale, a quella di Arona, a quella di san Gaudenzio a Novara ed all'ultima che conclude quasi il ciclo dei quadri di questo genere e che si ammira nella chiesa di S.Maria in Piazza di Busto Arsizio.
Rimane tuttavia a Maggianico il trittico dell'altare di S.Antonio dovuto molto probabilmente alla munificenza dei nobili Ghislanzoni che erano i patroni della Cappella.
Il trittico incorniciato dall'ancona neoclassioa del Bovara é formato da tre tele alte M.2,10 e larghe m.0,55 sulle quali sono dipinti a sinistra S.Ambrogio, al centro S.Antonio ed a destra S.Gerolamo; dallo sfondo cupo ridotto a pochissimo spazio sopra e sotto i sacri personaggi, le tre figure emergono paludate da larghe vesti e portanti ognuna i segni che le individuano, cioé la mitra col pastorale, il bastone col campanello, ed il galero cardinalizio assieme al libro del dotto.
S. Ambrogio indossa il piviale rosso sopra il bianco camice, S. Antonio il mantello verde sopra una rossa veste e S. Gerolamo ha il rosso manto cardinalizio che appena lascia scoperta un lembo della ricca e candida veste; i paludamenti s'adagiano per terra formando come un piedestallo alle tre figure. Predominano nel trittico le tonalità del rosso mentre lo sfumato abilmente modella la vivace ricchezza delle pieghe dei paludamenti che creano il saldo volume delle ieratiche figure dalla solenne e candida barba.
Volendo ricercare analogie con le altre ancone dipinte dal Ferrari per stabilire approsimativamente la data del trittico di Maggianico, troviamo numerosi e significativi motivi ricorrenti.
Le tre figure dei santi Vescovi nel polittico della basilica di S. Gaudenzio a Novara, salvo qualche leggera variante, si ripetono quasi a Maggianico per l'espressione del volto, per la direzione dello sguardo, per il gesto benedicente della destra, per l'atto di sorreggere il pastorale od anche il piviale con la sinistra.
Il S. Gerolamo di Maggianico presenta le stesse caratteristiche formali di quello di Arona: veste bianca che ricade per terra, ampio mantello leggermente sollevato a sinistra, barba candida, capello cardinalizio, mano sostenente un libro. Il S. Ambrogio di Maggianico presenta anche numerosi riferimenti formali con quello di Arona.
L'uso dei quadrati decorativi sul camice per le figure dei vescovi si riscontra nelle figure dei SS. Martino ed Ambrogio affrescate nella chiesa di S. Martino a Roccapietra.
Questi rapidi accenni per sottolineare i motivi cari al Ferrari e ricorrenti con estrema facilità nei suoi temi iconografici, ci permettono di ritenere che il trittico di Maggianico sia stato dipinto non solo dopo il polittico di Arona, ma anche dopo quello di Novara il quale nel 1521 era certamente finito. Osserviamo infine che anche a questo trittico venne aggiunto un elemento eterogeneo, cioè una predella quattrocentesca con le figure di Cristo e dei 12 Apostoli suddivise da colonnine portanti archetti gotici polilobati, che incorniciano come un aureo ricamo le delicate figurine; é la ripetizione di quanto avvenne per il polittico del Luini dove vennero aggiunti, in alto però, i due quadretti dell'Annunciazione.


NOTE AL VII° CAPITOLO
1) cfr. C.A.L.Apostolo,o.c. pag.60
2) Visite Pastorali, vol.23
3) c.s. vol.2
4) c.s. vol.16
5) c.s. vol.14 q.17
6) Arch. Parr. di Maggianico
7) Visite Pastorali, vol.33
8) c.s. vol.34
9) c.s. vol.23
10) c.s. vol.31
11) Arch. Parr. di Maggianico, Chronicus
12) Visite Pastorali, vol.17, q.6
13) Arch. Parr. di Maggianico, Chronicus, pag.58
14) Visite Pastorali, vol.34
15) Arch. Parrocchiale di Maggianico
16) Visite Pastorali, vol.12 q.12
17) c.s. vol.16
18) c.s. vol.27
19) c.s. vol.16
20) c.s. vol.14 q.7
21) c.s. 27
22) c.s. vol.6 f.59
23) c.s. vol.34 pag.515
24) Arch. Parr. di Maggianico - Chronicus
25) c.s.
26) "Amplam satis et excelsam acque neonon lateritio fornice contectam" - Visite Pastorali vol.32
27 ) Arch. Parr. Chronicus
28) c.s.
29) c.s.
30) Visite Pastorali - Visita del card. Federico vol.33
31) c.s. vol.33 pag.157
32) "Benedictio altaris et chori parrocchialis ecclesiae loci Maggianici ut in praeoibus (cioé la domanda fatta per ottenere la facoltà di benedire l'altare anche quella riportata dal Chronicus) peracta fuit a me infrascripto Praeposito ad hoc specialiter delegato die vigesima secunda Octobris anni 1811. Et pro fide Antonius Prada Praepositos Vic. For. Leuci" (Arc. Parr. di Maggianico - Chronicus)
33) c.c. pag.60
34) Secondo l'elenco del Borromeo i quadri sarebbero stati sei, in realtà erano sette come risulta dal carteggio dell'Appiani
35) Visite Pastorali vol.32
36) Arch. Parr. di Maggianico
37) Bernhard Berenson - Pitture italiane del Rinascimento (Catalogo) Milano 1936 pagg.163-166
38) Credo utile aggiungere qui in nota la documentazione dei restauri fatti ai quadri dal 1831 al 32. "Pro memoria del ristauro dei quadri del Luino formanti la pala esistente nella Capella della B.Vergine del Consiglio. Dietro consiglio del celebre sig. Architetto Bovara e dell'esimio sig.Professore di pittura dell'Accademia di Bergamo Diotti, quali si trovarono ambidue in questa chiesa compiangendo la sorte sgraziata di quei quadri, che andavano in totale rovina, e dietro il consenso de' sig.ri Fabbriceri Ghislanzoni, si levarono dall'altare li otto quadri del Luino e si spedirono a Bergamo il giorno stesso 30 giugno 1830 in casa del sig.Professore Diotti sullodato i due quadretti superiori rappresentanti l'Angelo Gabriele e la Vergine Annunciata, come quelli che essendo più ruinati dal tempo e dall'umidità dovessero anche servire di prova per la buona riuscita del ristauro. Questi il giorno 14 luglio stesso anno furono riportati da Bergamo ristaurati dallo stesso pittore e ristauratore sig.r Marco De Leida e il loro ristauro ottenne l'approvazione anche dei principali professori di pittura di Milano Sig. Comerio e Sig. Palazzi, per cui si é giudicato doversi ristaurare anche gli altri per mezzo dello stesso ristauratore Sig. Marco De Leida. Nel giorno 27 dicembre 1830 pertanto il M.R.Sig. Don Giacinto Ghislanzoni portò a Bergamo il principal quadro della Madonna e nel giorno 24 Gennaio 1831 furono dal Parroco Gattinoni portati a Bergamo i due quadri laterali S.Sebastiano e S.Andrea, nel giorno 15 Febbraio i due superstiti S.ta Caterina e Sant'Antonio; e finalmente nel giorno 28 detto Febbraio il Padre Eterno; tutti ad uno ad uno colla massima diligenza furono restituiti a casa, finché il giorno 20 maggio 1831 furono portati a Maggianico gli ultimi tre quadri ristaurati dallo stesso signor Riformatore" - "Memoria della minuta da me sottoscritta fatta dai presenti sottoanotati quadri. Primo una Palla del celebre Gaudenzio Ferrari rappresentante S.Antonio, Sant'Ambrogio e S.Carlo Boromé (sic!) ed avendo fatta un'esatta osservazione, trovo che il fabbisogno pér il ristauro dei medesimi consiste nelle presenti operazioni cioé: Di fermare solidamente in molte parti dei quadri il dipinto che va perdendosi a pezzi a pezzi per cagione della marcita imprimitura. Vanno pure politi con ogni diligenza e levargli molti antichi ristauri fatti ad olio; più bisogna velare dei paneggiamenti, ricercando con accuratezza l'andamento naturale delle pieghe originali sfuggita per un'antica ed inesperta politura; e rimettere le moltissime mancanze che in questi si trovano e con tutta diligenza ridurli con il ristauro alla loro antica perfezione. Per questo ristauro calcolando le spese che potrebbero occurrere per il medesimo monta alla somma di Luiggi effettivi d'oro N° 18 dieciotto. Avendo pure osservato un antico basamento dipinto del 400 rappresentante Gesù Cristo e li dodici Apostoli in mezza figura, vi trovò necessaria una diligente politura, di levargli verii ritocchi e compirne le mancanze e con qualche velatura questi porteranno per il ristauro la somma di Luiggi effettivi d'oro N°3 tre ché in tutto formeranno per la somma di Luiggi N°21 ventuno effettivi. In fede Marco De Leide Pittore e Ristauratore.
- 1832 Die 7 Augusti sub protectione B.Mariae V. et Sanctorum in hac tabula a celeberrimo Bernardino a Luino picta et a Marco De Leida dirigente ac praecipuo fautore eximio pictore Josepho Diotti ab extrem ruina erepta et restaurata existentium, positum fuit hoc altare delineatum ab immortale Architecto Josepho Bovara et de vivis et electis lapidibus constructum a Bernardo Argenti. Parochus Joannes Gattinoni et Presbiter Hyacyntus Ghislanzoni laboribus et diligentia nec non universi popoli laetitia et gaudio" (Arch. Parr. di Maggianico)
39) B.Berenson - I pittori italiani del Rinascimento, Milano 1948 (3°ed.) pag.232
40) Ecco la relazione del restauro eseguito nel 1953: "Zona inferiore:S.Andrea(cm.115 x 54); Madonna col Bambino(cm.116x62) S.Sebastiano(cm.116x54) - Zona superiore: S.Antonio Abate(cm.98x34), Padre Eterno benedicente (cm.98x62); S.Caterina (cm.98x34); nnunciazione, in due scomparti(cm.34x34). Tavola trasportata su tela, salvo la Madonna che é su tela originaria. ....In occasione della ricomposizione ottocentesca venne eseguito il trasporto su tela dei dipinti, con perdita di colore originario, specie nei fondi che furono grossolanamente ripresi. Il recente restauro eseguito da O.Della Rotta ha permesso di stabiltre che, mentre i santi Sebastiano, Andrea, Antonio Abate e Caterina, il Padre Eterno e le due figure dell'Annunciazione erano originariamente su tavola, la Madonna già ab origine fu dipinta su tela. Lo spesso strato di sporco aveva tolto ogni luminosità al polittico. Rimosso il sudiciume, rimosse le spesse vernici poste a mascherare i grossolani rifacimenti, rimossi questi ultimi, le abrasioni e le cadute di colore originario apparvero per la Madonna gravi solo nel fondo, ai lati della testa, intatta, e sopra il braccio sinistro del Bimbo, lungo il bordo della tela a sinistra e alla base; nel corpo della figura, soltanto tra il braccio destro e cintura della veste. Nel S.Andrea e nel S.Sebastiano fortemente abrase le basi delle due tele prima dei piedi e le parti terminali sopra le teste, della croce e dell'albero. Gli altri guasti tanto minuti da non incidere che minimamente sulla pittura. Il supporto di tela, di eccellente qualità, é ancora in ottimo stato. Esposto alla mostra di Como, n.11-15 - A.Ottino dalla Chiesa: Bernardino Luini Novara 1956 pag.91
41) A.Ottino dalla Chiesa s.c. pag.91
42) I Pittori italiani del Rinascimento, s.c. pag.233